La tragedia che in questi giorni ha provocato la morte del lavoratore indiano nell’Agro Pontino ha suscitato unanime commozione e sdegno. Sembra impossibile che si possa morire in questo modo e che questo possa succedere nel 2024 in spregio ai minimi dettagli dell’umana convivenza.

Le descrizioni di quanto accaduto sembrano una brutta sceneggiatura di un film horror, braccia strappate e cadaveri buttati via. Speriamo siano l’occasione per regolare, o attenuare, il lavoro illegale e iper-sfruttato.

Queste sono frasi convenzionali, già lette ma vorremmo mettere in luce un lato, un’angolazione storica di questo episodio e partire da un particolare che pochi hanno notato. Il cognome. Il cognome dell’unico, per ora indagato (sabato). Quel datore di lavoro che con le sue dichiarazioni “Singh ha fatto una cosa sbagliata mettendo nei guai tutti gli altri…” ha reso quasi surreale da vicenda. Beh, è un cognome che più veneto non si può, diffuso specialmente tra Padova e Vicenza. Una coincidenza?

No. È la storia della grande bonifica integrale dell’Agro Pontino. Questo territorio paludoso è stato trasformato in terreno agricolo durante il fascismo negli anni ‘30. In pochi anni con uno sforzo enorme tutta la zona dai Monti Lepini al mare fu disboscata, prosciugata e trasformata. Il costo materiale e umano fu impressionante, basti pensare alle vittime della malaria, e protagonisti di questa opera furono in maggioranza i veneti. Decine di migliaia si trasferirono, braccati dalla povertà, in questa terra ostile sottoponendosi a sacrifici che nemmeno possiamo immaginare. Seguirono le città, Littoria, poi diventata Latina ma ci furono anche Borgo Podgora, Borgo Grappa, Borgo Montello. Decine di libri ci possono aiutare e da qualche foto, non addomesticata dal regime, si intravedono le terribili condizioni di lavoro. Ma la storia va così, negli anni ‘30 le stesse scene le vediamo negli USA con il New Deal o nei kolchoz sovietici.

Passano i decenni e i… ventenni.

Adesso sono zone altamente produttive ma chi raccoglie sui campi non sono più i discendenti di Fossalta di Piave o di Roncade ma lavoratori senza nome dell’India, del Pakistan del Bangladesh.

Quindi con cinismo accettiamo questa circolarità temporale? Prima gli oppressi e sfruttati emigranti erano i veneti adesso tocca a loro. Funziona così? Funzionerà sempre così?

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

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