La crescente presenza di veicoli elettrici nei listini dei maggiori costruttori mondiali, può far pensare che questo tipo di mezzo sia stato introdotto solo recentemente per contenere gli effetti dei motori endotermici sul clima. La propulsione elettrica ha invece radici lontane che risalgono addirittura alla fine dell’Ottocento e sono parallele, dunque, alla nascita e alla diffusione dell’automobile.

L’uomo conosce i fenomeni elettrici almeno fin dal IV secolo a.C. quando Talete di Mileto strofinando casualmente un pezzo d’ambra (in greco èlektron) sulla sua tunica scoprì che era in grado di attirare piccoli oggetti, ma sono occorsi secoli perché dalla semplice elettricità statica si passasse ad una forma di energia in grado di muovere dei veicoli. Punto di partenza di tutto è stata naturalmente la possibilità di produrre elettricità e di questo dobbiamo essere grati ad Alessandro Volta e alla sua pila del 1799 che convertiva l’energia chimica in elettrica, al francese Gaston Planté che nel 1859 costruì la prima batteria ricaricabile piombo-acido e ad Antonio Pacinotti che negli stessi anni inventò la dinamo, in grado di trasformare l’energia meccanica in energia elettrica continua.

Lo sviluppo delle batterie ricaricabili favorì la nascita delle prime auto elettriche in particolare in Francia che già dalla seconda metà del XIX° secolo era il paese guida nell’affermazione dell’automobile. Qui il costruttore di carrozze parigino Charles Jeantaud utilizzò i primi accumulatori elettrici al piombo prodotti industrialmente da Camille Faure per allestire una carrozza in grado di muoversi autonomamente.

A quel tempo la scelta verso la propulsione elettrica non aveva naturalmente nessuna motivazione di carattere energetico o ambientale ma derivava dalla facilità di guida di questi veicoli per i quali non erano necessari frizione, cambio e manovella di avviamento e inoltre erano immuni da emissioni sgradevoli come le auto a vapore per non parlare di quelle a benzina. Non a caso la pubblicità dell’epoca suggeriva che tali mezzi fossero particolarmente indicati per il pubblico femminile che così poteva tranquillamente fare a meno di autisti e mariti al seguito.

Il problema, ieri come oggi, restava semmai quello dell’autonomia che limitava l’utilizzo ai percorsi urbani ma quanto a prestazioni le vetture elettriche non erano seconde a nessuno. E infatti la prima nella storia a superare la barriera dei 100 chilometri orari fu proprio una automobile spinta da due motori elettrici, la CGTA Jamais Contente guidata dal belga Camille de Jenatzy il 29 aprile 1899. Per la cronaca ricordiamo che il conte Giuseppe Carli di Castelnuovo di Garfagnana (LU) nel 1891 costruì la prima auto elettrica italiana. Si trattava di una vetturetta a due posti pesante 140 chili batteria compresa, potenza di un CV, velocità massima 15 Km/h, autonomia dichiarata di circa 10 ore che rimase però solo un prototipo.

Nei primi anni del Novecento l’auto elettrica raggiunse una buona diffusione specialmente negli Stati Uniti tanto che fra il 1890 e il 1925 dei circa 170 costruttori di auto elettriche presenti nel mondo ben 130 erano statunitensi.

Perché questo primato?

In Europa le prime costosissime automobili erano generalmente acquistate da maschi piuttosto benestanti facenti parte di una élite che vedeva nell’auto un mezzo per affermare la propria posizione sociale e soddisfare le proprie attitudini sportive grazie alla sempre crescenti prestazioni dei motori a scoppio.

Negli USA invece il mercato era ben più ampio e la consistente diffusione di reti elettriche urbane rendeva possibile la ricarica nel garage di casa, per cui l’auto elettrica era gestibile, come già si è detto, anche da una utenza femminile quasi del tutto inesistente in Europa.

A questo proposito i dati parlano chiaro e certificano un momentaneo trionfo commerciale delle auto elettriche negli USA: mentre in Europa nel 1900 circolavano non più di 5000 vetture e prevalevano nettamente quelle a combustione interna, negli States su 45.000 auto complessive il 38% erano elettriche, il 40% a vapore (!) e solo il 22% a combustione interna. Un successo effimero che durò lo spazio di un decennio.

Se il miglioramento continuo dei cambi semiautomatici e dell’avviamento elettrico   lanciarono definitivamente l’automobile con motore a scoppio fu soprattutto la progressiva costruzione di una rete stradale attraverso l’intero continente americano che rese vincente l’automobile endotermica, capace di una autonomia nemmeno avvicinabile da quella elettrica.

E quando anche il pubblico meno abbiente riuscì finalmente a comprarsi un’auto, il costo più elevato di quelle elettriche accelerò drasticamente il loro declino. Anche in Italia vi furono alcune aziende produttrici, tra cui la più nota resta la ligure-piemontese Dora fondata nel 1886 mentre ci piace ricordare che perfino il re d’Italia Vittorio Emanuele III° non restò insensibile al fascino delle elettriche facendosi ritrarre in atteggiamento marziale assieme alla regina Elena a bordo della sua imponente Krieger di costruzione francese.

Saranno le restrizioni energetiche della Seconda guerra mondiale a far tornare momentaneamente in auge la propulsione elettrica per auto e camion ma il vero boom dovrà aspettare la motorizzazione di massa dei nostri giorni e l’emergenza per il progressivo deterioramento climatico. Che poi le batterie cinesi a ioni di litio siano davvero la soluzione vincente è tutto da dimostrare e tutta un’altra storia. Ancora da scrivere

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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