Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Così il grande Giovanni Pascoli nella poesia dal titolo “L’assiuolo”, di cui riportiamo la prima strofa.
Troppo bella e troppo bravo Pascoli, con il suo dolce (non sdolcinato) romanticismo bucolico, con le sue rime strazianti, che tanto mi hanno fatto piangere, bambino, parlando di una rondine che non tornava più al nido, dove l’attendevano, pigolando disperati i suoi “rondinini”.
In effetti il minuscolo gufo che abbiamo denominato Assiolo e che la Scienza ha battezzato con l’astruso appellativo di Otus scops, ispira simpatia, tenerezza e fa emergere il romantico che si cela al fondo (molto al fondo) del nostro animo: uomini del Terzo Millennio, che per averne viste di tutti i colori, in tempi di finta pace, hanno l’animo più duro della pietra.
Parlo di noi, che a migliaia accorriamo, estasiati, per ammirare lo spettacolo più inquinante e inutile, ancorché fuori tempo (la peste bubbonica è finita da quasi quattrocento anni) rappresentato dai fuochi d’artificio del Redentore di Venezia. Noi che a decine di migliaia accorriamo, estasiati, ad ammirare la ridondante confusione di luci, suoni ed effetti speciali che accompagnano i concerti delle “star del Rock”. Confusione senza la quale la star di turno canterebbe con lo stesso slancio e la stessa intonazione di un ubriaco in osteria. Noi che siamo alleati di ferro, o meglio sudditi ossequiosi della “Grande Democrazia del fucile automatico”, in cui comandano Microsoft, Amazon e Google (mi lascierete togliere qualche sassolino dalla scarpa! O volete che vi parli solo dell’Assiolo!).
Bene, detto questo, eccoci all’Assiolo. Un gufetto grazioso, si diceva, con grandi occhi gialli in posizione frontale, come tutti i rapaci notturni. Un piccolo predatore che si nutre, niente meno che di insetti, che cattura nel folto delle fronde degli alberi, dall’imbrunire all’alba, standosene poi immobile a sonnecchiare per l’intero giorno.
Proprio per questo e dunque per il fatto che è predatore di insetti, avremmo dovuto ritenerlo sacro. Tutti gli “insetticidi naturali”, in quanto non costituiti da molecole di sintesi cancerogene, dovrebbero esserlo. Invece l’abbiamo lasciato al suo destino di estinzione locale quando, negli anni Ottanta del secolo scorso, la campagna veneta è stata disalberata e irrorata da milioni di tonnellate di sostanze chimiche.
Ricordo che, ancora nei primi anni Settanta, lungo i viali di tigli del centro urbano di San Donà di Piave, l’inconfondibile, dolcissimo “chiù” dell’Assiolo ancora risuonava la sera.
Poi il silenzio totale durato alcuni decenni; infine, il ritorno, con timide avanguardie, quasi a voler saggiare la qualità dell’ambiente.
Ora, si sa, che una certa specie vivente si insedia stabilmente in un territorio se sono fatte salve due condizioni fondamentali: la presenza dell’habitat riproduttivo e la presenza di adeguate risorse alimentari. Ebbene, nel caso dell’Assiolo era venuto meno anche l’habitat riproduttivo, rappresentato dalle cavità naturali presenti nel tronco di vecchi alberi. Perché da noi, caro Lettore, se non l’hai notato, gli alberi sono come le bisce: non invecchiano.
Comunque sia, ora, qualche timido Assiolo è tornato a farci compagnia. Lui, che ad ogni fine estate attraversa in volo il Mediterraneo (niente meno!) per svernare a sud del Sahara e che al ritorno, in aprile, teme di essere catturato per essere condotto in un campo di concentramento in Albania.