Viviamo un tempo bastardo, immersi in una civiltà ipocrita, bacchettona. Sensibile ai richiami del consumismo imperante, alle sirene di un mondo di valori predefiniti che a tutto assomiglia, tranne che essere espressione di un codice divino: successo, ragion di stato, ordine subìto, caste impermeabili…  Apparteniamo ad una società viziata che in parte ha perduto la bussola, che scambia il giorno per la notte e si costruisce (abbattendoli continuamente) dei miti. Eppure riesce a scandalizzarsi: potrebbe essere sano un grandioso scandalo da denunciare, se avvenisse per tutelare le ragioni profonde dell’Uomo o le ingiustizie sociali. Invece.

La nostra civiltà ha fondato nel bacino del Mediterraneo i propri sacrosanti convincimenti di moralità profonda col supporto autorevole della Bibbia, del Vangelo o del Corano, declinandoli laicamente in filosofia.  Si dà il caso che, con la stessa disinvoltura, quella medesima civiltà educata aggredisca, ammazzi, lasci annegare, sfrutti, inganni, tradisca. Pecca impunemente, se vogliamo metterla sul piano religioso, e addirittura motiva le proprie gesta, queste sì scandalose e orribili, attingendo motivazione persino dai passi scelti con cura negli stessi libri sacri: spulciando si trova sempre il versetto opportuno, la vendetta e la repressione giustificate, in quanto derivanti da una sedicente espressa volontà di Dio. Del resto l’interpretazione cosiddetta esatta, cercata caso per caso da una bibliografia apparentemente contraddittoria, è affidata in ultima battuta agli interpreti ufficiali, veri custodi della moralità: a mo’ di esempio ora maledicono la guerra, quale estremo sfregio al dono della vita ed ora benedicono i combattenti, incitandoli alla lotta in discutibili conflitti. Evito di esemplificare l’abbondante casistica contemporanea delle contraddizioni.

E sotto sta un popolo, non inconsapevole o ignorante, che ricorda quello di Orwell nel suo romanzo distopico, mai abbastanza citato: 1984. Si delinea una massa di gente pensante, ma a responsabilità limitata: convincibile, usando le opportune tecniche, ad adattarsi ai cambi di bandiera, alle rotazioni copernicane nei princìpi, secondo l’aria che tira più forte. In base ad un egoismo implicito, di cui siamo più o meno tutti succubi, che assomiglia allo spirito opportunistico individuale di sopravvivenza. A dirla in rima col Guicciardini “Francia o Spagna purché se magna”.

Perciò mi fanno ridere e spernacchiare le proteste a margine della spettacolare, piovosa inaugurazione delle Olimpiadi francesi. Il direttore artistico Thomas Jolly ha prodotto una messa in scena originalissima e innovativa, dove protagonista è il territorio di un popolo orgoglioso (quasi fin troppo) di se stesso e la nazione ospitante. La manifestazione non ha preso vita in uno stadio con le sue magari stupefacenti, ma confinate coreografie.

Ora tutta l’ubbia canforata dei conservatori reazionari si concentra sul quadro vivente che ha riproposto con una vaga allusione, in una nuova ennesima versione, l’ultima Cena leonardesca. Tanto più che la simulazione, volutamente di taglio pagano, assomiglierebbe molto di più al Festin des dieux di Jarmensz van Biljert, composta intorno all’anno 1635: una tavolata di dei greci riuniti in un banchetto nuziale a festeggiare, con al centro il dio Apollo e alla presenza di Dioniso. Esiste una miriade di altre simili figurazioni. La rappresentazione di una festa sull’Olimpo come metafora per richiamare la festa delle Olimpiadi francesi ha sollevato un can-can in un bicchiere d’acqua.

Ma qui vorrei ipotizzare, anch’io incaponito, che la scena voglia richiamare davvero il tema leonardesco. Dunque si grida allo scandalo e al vilipendio della religione.

Ma quale scandalo, quale vilipendio? Occorre guardare con occhi smaliziati: in fondo non si tratterebbe che della vaga reinterpretazione di un affresco di fine ‘400 che, a sua volta, sarebbe un’interpretazione di una cena sacra immaginata. Forse che l’ambientazione e gli attori rappresentati nel dipinto di Leonardo potrebbero corrispondere alla realtà di un’Ultima Cena palestinese? Osserviamoli nei loro tratti: carnagione candida, fisionomie europee, dove l’unico di pelle scura è – guarda caso – un certo Giuda. E il san Giovannino dai lunghi capelli e dai tratti efebici può essere scambiato, come è stato scambiato spesso, per una giovane donna. Dunque sono rappresentati razzismo e possibili contaminazioni gender? Sciocchezze: non voglio scendere in altri dettagli e cadere nella trappola subdola dei puri.

Resta il significato di ciò che il coreografo francese Thomas Jolly voleva rappresentare: il senso dell’amore che non è diritto esclusivo, ma riguarda tutta l’umanità nelle sue declinazioni. Nel suo caso si tratta di un quadro allusivo e non certo sacrilego: sorridente e persino giocoso, così come dev’essere lo spirito di una manifestazione inaugurale di questo tipo. Su un triclinio davanti alla tavolata, un Dioniso comico e pagano evoca la gioia un poco sregolata.

E dietro di lui tutti i personaggi eterogenei rappresentano l’idea di una condivisione allegra, dove la drag queen al centro, di immense proporzioni degne di Botero, unisce le dita a formare un cuore, come sono abituati a fare i giovani. Una proposta di amore generoso.

Bisogna essere maniaci di persecuzione per intravedere un vilipendio, in questa innocua e sostanzialmente garbata provocazione. È elementare accettarla come un’espressione artistica contemporanea, se non si hanno nauseanti pregiudizi politici o integralisti.  Persino i bambini sono costretti a sorbirsi automaticamente ben altre insopportabili nefandezze in televisione.

Tutta l’inaugurazione di questa edizione olimpica trasuda un intento inclusivo: esattamente come la sfilata di moda in passerella di Bebe Vio, coi suoi quattro arti artificiali esibiti con leggerezza; esattamente come l’ex ciclista ultracentenario Charles Coste, campione olimpico di inseguimento a squadre nel 1948, chiamato dalla sua carrozzella di infermo a passare la fiaccola olimpica ai nuovi campioni.  Chissà quando la smetteremo di fare tanto rumore per nulla, mentre la nostra Bastiglia minaccia di andare a fuoco. 

 

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

2 COMMENTS

  1. E non si accontentano di gridare al sacrilegio. Guardiamo cosa è accaduto con l’incontro di pugilato femminile dove la nostra atleta si è malamente scomposta ed ha ricevuto un dritto al viso che avrebbe steso un elefante anche se tirato da me… Subito a gridare al “sacrilegio gender”, ad ululare contro il politically correct, a ingiuriare un’atleta definita – a seconda della vis polemica di turno – uomo o trans, facendosi beffe del suo essere donna: più o meno abbondante di ormoni maschili nessuno lo sa, comunque all’interno delle rigide soglie fissate dal CIO visto che è stata sottoposta a verichiche come ogni altro/a atleta.
    Tra l’altro (e verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere) gli alti lai provengono da coloro che per il resto del tempo ululano animosamente contro chiunque non accetti il sesso determinato alla nascita sulla base dei genitali esterni, ribellandosi con ciò a “quel che dio ha voluto”. Qui invece i genitali esterni non contano: conta (conterebbe…) il livello ormonale ed un aspetto mascolino; ovviamente il tutto a loro discrezione!
    Mala tempora currunt: nemmeno un po’ di coerenza nella propaganda di bassa lega

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