Auto di regime oppure esempio estremo di ingegneria automobilistica essenziale? Chiamatela come volete ma questa vetturetta di plastica ha avuto un ruolo fondamentale oltre la “cortina di ferro” e resta simbolo di un mondo che non c’è più.

Alle cinque in punto del 30 aprile 1991 dalle linee di montaggio della Automobilwerke Sa di Zwickau, in Sassonia, esce l’ultima Trabant delle 3.096.099 prodotte in 34 anni. Classificata dal settimanale americano TIME tra le cinquanta auto più brutte della storia, questa vetturetta ha comunque il merito di aver motorizzato le masse lavoratrici di un intero paese oggi scomparso dalle carte geografiche: la Repubblica Democratica Tedesca.

Tutto parte dal 1949 quando l’ex Reich millenario di Hitler venne diviso in Zona Est sotto il controllo sovietico e Zona Ovest controllata da americani, inglesi e francesi. Nella parte occidentale, superati i primi drammatici anni del dopoguerra in cui mancava tutto, per rendere disponibile una utilitaria ai tedeschi si riprese a produrre l’auto del popolo cioè la volkswagen. In quella orientale invece ci si trovò a far fronte alle stesse esigenze senza lo straccio di un progetto e ci si limitò a continuare con i vecchi modelli anteguerra negli stabilimenti BMW e DKW rimasti nella zona sovietica che producevano vetture obsolete e costose, riservate alla nomenklatura che peraltro preferiva le grandi berline ministeriali russe. Grazie all’elefantiasi burocratica propria dei regimi totalitari, fu solo nel 1954 che venne finalmente deciso di colmare il ritardo e furono concessi 18 mesi ai tecnici per mettere in produzione un’auto popolare che avrebbe dovuto essere la volkswagen della Germania Orientale. L’assurdo capitolato imposto da funzionari che di tecnica automobilistica certo non capivano niente ordinava che la nuova vettura avrebbe dovuto pesare meno di 600 chili, avrebbe dovuto percorrere almeno 20 chilometri con un litro di benzina, avrebbe dovuto toccare gli 80 chilometri orari, che non si sarebbe dovuto utilizzare acciaio per la carrozzeria per evitare costose importazioni dall’odiato occidente capitalista e soprattutto che l’auto non avrebbe dovuto costare più di sei mensilità di un operaio, cioè 4.000 marchi orientali. A Zwickau ben sapevano che quelli erano diktat impossibili ma accettarono la sfida e svilupparono subito il materiale per la carrozzeria con un sistema che anticipava il moderno concetto di riciclo: si trattava del duroplast, una resina termoindurente rinforzata con fibre pressate ricavate dai residui dell’industria tessile. Si racconta che per collaudarne la robustezza gli operai utilizzassero un metodo empirico ma efficace: salivano sul tetto della vettura e se reggeva era pronta per la consegna. Nel 1956 si svolsero i collaudi della vettura definitiva, denominata P50, che venne annunciata dalla stampa in settembre e presentata ufficialmente in ottobre dello stesso anno. Ma qui la rigida pianificazione di regime mostrò tutti i suoi limiti perché vennero a mancare i finanziamenti adeguati per far partire la produzione e iniziò anzi una serie di diktat e veti incrociati tra i vari ministeri che bloccarono l’esordio della nuova automobile popolare. Si arrivò quindi all’autunno del 1957 quando, in occasione del 40° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, l’URSS lanciò il primo satellite della storia e la DDR non volle essere da meno presentando la P50 denominata Trabant che in tedesco significa satellite o compagno di viaggio, l’equivalente della parola russa Sputnik.

La carrozzeria in duroplast garantiva appena il limite dei 600 chili imposto. Il motore era un modesto bicilindrico DKW a due tempi (!) di 499 cc. da 18 CV di derivazione motociclistica alimentato a miscela, la trazione era anteriore e le sospensioni a ruote indipendenti. La velocità, unica nota positiva, toccava i 100 Km/h ma veniva di gran lunga superato il prezzo previsto perché la vettura veniva a costare quasi il doppio, 7.450 marchi. Fino al luglio del 1958 la produzione fu di circa 100 esemplari mensili, poi aumentò pur restando largamente insufficiente per soddisfare la richiesta tanto che i tempi d’attesa si allungarono a dismisura ma per operai e piccoli impiegati non c’era alternativa alla tanto agognata (relativa) libertà di movimento. Intanto nel 1963 uscì la Trabant 601 (la versione più prodotta e diffusa) con una nuova carrozzeria dalle linee più squadrate, modifiche agli interni e alle plastiche ma soprattutto un motore più “potente” da 595 cc. e 23 CV. Con il passare del tempo il modello subì continui piccoli miglioramenti e oltre alla versione Limousine (berlina) venne proposta anche quella Kombi (giardinetta), entrambe con due livelli di allestimento, la Standard e la Luxe che aveva finiture più curate e tinta a due toni. Fino alle soglie degli anni Novanta la Trabant continuò ad essere migliorata ma furono la caduta del muro di Berlino (1989) e la riunificazione della Germania (31 agosto 1990) a mostrare ai tedeschi orientali l’enorme divario fra le automobili occidentali e loro inquinanti vetturette, non a caso definite dai cugini dell’ovest Wald Killer (ammazzaforeste). La fabbrica di Zwickau corse ai rimedi montando su quella che venne chiamata Trabant 1.1 il motore di 1.043 cc. della Polo costruito su licenza della Volkswagen. Ma era uno sterile escamotage che durò solo un anno, poi la fabbrica passò a produrre Volkswagen e sull’utilitaria tedesco-orientale, come sul mondo che l’aveva prodotta, calò definitivamente il sipario della storia.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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