Settantanove anni fa le città giapponesi di Hiroshima e Nagaski vennero cancellate da un’arma devastante e definitiva. La cronaca di quelle ore drammatiche.
È la notte fra il 5 e il 6 agosto 1945 quando sulla pista dell’aeroporto di Tinian, nelle isole Marianne, tra l’Australia e il Giappone, rombano i motori di un bombardiere americano Boeing B29. Il comandante dell’aereo, colonnello Paul Tibbets, lo fa rullare più del solito e porta al massimo regime i quattro motori da 2.200 cavalli. È un’utile precauzione visto il peso straordinario del velivolo: 65 tonnellate, cioè otto più di un comune carico di bombe. E il comandante Tibbets è uno tra i pochissimi a sapere a cosa sia dovuto, a parte i serbatoi supplementari, quel carico in più.
Sulla fusoliera dell’aereo spicca a grandi lettere un nome di donna: Enola Gay, il nome della madre del comandante, una decisione che Tibbets aveva preso solo poche ore prima.
Dopo una lunga corsa di decollo il gigantesco quadrimotore si stacca da terra e scompare nella notte. L’aereo compie una virata a sinistra e inizia rombando il tragitto verso nord di 995 chilometri che lo separa da Iwo Jima dove ha l’appuntamento con gli altri due B29 che devono scortarlo su uno dei tre obiettivi prescelti: Hiroshima, Nakasaki o Kokura a seconda delle condizioni meteorologiche presenti su ciascuna di queste tre città. Tre altri B29 attrezzati per l’osservazione meteorologica sono partiti alle 01.37 da Tinian per controllare la visibilità, la temperatura e al velocità del vento di ognuno dei possibili obiettivi.
Sull’Enola Gay, intanto, l’equipaggio è in piena attività. L’armiere capitano Parsons si lascia scivolare nel tubo lancia bombe seguito dal suo assistente tenente Jeppson, addetto al controllo elettronico che gli fa luce con una lampada e comincia un lavoro delicato e di capitale importanza: stanno innescando la prima bomba atomica della storia.
Sulla coda di Little boy, come viene soprannominato l’ordigno, Parsons introduce il doppio collegamento. Dopo venticinque minuti esatti apre per l’ultima volta il circuito di comunicazione interna e avverte il comandante, tenuto costantemente al corrente, che la sua parte è fatta. Ora tocca a Jeppson. Una occhiata rapida ai circuiti elettronici poi il tenente stacca dal fianco dell’ordigno una spina verde (quella che blocca i detonatori) e ne innesta una rossa lunga sei centimetri come l’altra, che collega diverse ramificazioni. Come lascerà l’aereo i detonatori resteranno bloccati per quindici secondi da un congegno automatico, il tempo necessario per compiere una caduta di circa 3.300 metri. Contemporaneamente si accende una serie di interruttori, fra cui quelli che impediscono uno scoppio prima dei tremila metri di altezza. A seicento metri quattro inneschi elettrici azioneranno i detonatori.
Vi sono 43 secondi fra lo sgancio e l’esplosione e non è consentito il minimo errore.
Sono le 02.30 in Giappone quando il capitano Parsons avverte il comandante Tibbets che la bomba è pronta per lo sgancio mentre a Hiroshima la popolazione che era uscita di casa per un allarme aereo è già rientrata quando la radio dà un secondo annuncio: altri velivoli nemici in arrivo. Qualcuno ritorna all’aperto per andare in zona sicura ma la maggior parte, stanca del continuo andirivieni, rimane nel letto dove si è appena coricata e infatti ancora una volta le formazioni americane passano e si allontanano verso altre città.
Intanto l’Enola Gay viaggia ad una quota di 1.200 metri in mezzo ad un mare di nuvole nere ma verso le 4 iniziano a filtrare le prime luci del giorno e alle 04,52 in vista di Iwo Jima il cielo è ormai completamente chiaro e il sole abbagliante. Tibbets fa salire l’aereo fino a tremila metri di quota e tre minuti più tardi viene affiancato dai due B29 di scorta.
Una volta in formazione i tre aerei compiono una virata a sinistra e puntano verso l’isola di Shikoku da cui possono raggiungere la costa meridionale del Giappone. Vi sono ancora oltre tre ore di volo prima di aggiungere gli obiettivi e gli aerei tengono il contatto a vista senza mai azionare la radio per non essere intercettati dalla caccia giapponese. Ad un certo punto dall’altoparlante di bordo dell’Enola Gay la voce del comandante Tibbets avverte che dal momento in cui l’aereo avvisterà la costa giapponese sarà registrato tutto ciò che verrà detto a bordo.
“Questa registrazione è destinata alla storia – ammonisce il comandante – per cui controllate il vostro linguaggio. Noi stiamo per lanciare la prima bomba atomica”.
La maggior parte degli uomini dell’equipaggio si guarda in faccia stupita: sente questa espressione per la prima volta e non sa darle un significato preciso. Cosa vuol dire “bomba atomica”? E quali saranno i suoi effetti?
L’ordine di utilizzare armi atomiche era stato dato dal presidente Truman dopo aver appreso alla conferenza di Potsdam del felice esito degli esperimenti nel poligono di Alamogordo, nel New Mexico, compiuti il 16 luglio.
Succeduto a Roosevelt morto improvvisamente il 12 aprile, Truman non sembra avere il minimo dubbio morale nonostante le perplessità di qualche scienziato secondo il quale un’arma così terrificante sarebbe risultata ingiustificata contro un Giappone già stremato e prossimo alla resa. Il generale Leslie Grover, capo del progetto Manhattan per lo studio e la costruzione dell’atomica, ha invece fatto una semplice valutazione: l’armata metropolitana nipponica è ancora fortissima e uno sbarco in Giappone potrebbe costare agli Alleati da 250.000 a un milione di vite umane, senza contare le perdite giapponesi militari e civili. D’altra parte, in una sola notte a Tokyo le bombe al napalm avevano ucciso 78.000 persone e quello era stato visto come un legittimo atto di guerra. Perché dunque esitare con l’atomica se può far cessare prima la guerra?
Alle 06.30 l’Enola Gay sale a diecimila metri, la quota stabilita per lo sgancio della bomba. Hiroshima si sta lentamente risvegliando e tutti iniziano le loro attività quotidiane, contenti che ancora una volta la loro città sia stata risparmiata dai bombardamenti americani.
Sono passate da pochi minuti le 7 quando suonano le sirene dell’allarme ma non sono i fischi intermittenti che indicano un grande pericolo ma un fischio singolo che indica un “piccolo allarme”. Sulla città, infatti, sta volteggiando uno dei tre rilevatori meteorologici inviati sui tre possibili obiettivi. Alle 07,09 la visibilità sulla periferia di Hiroshima è pessima ma nove minuti più tardi l’osservatore ha la possibilità di vedere l’intera città da quindicimila metri di altezza: le nubi hanno uno squarcio di una ventina di chilometri e il sole di una bella mattinata d’estate riscalda e illumina Hiroshima. La situazione viene comunicata all’Enola Gay. Tibbets riceve rapporti altrettanto favorevoli sia dall’aereo che sorvola Nagasaki che da quello che sorvola Kokura ma il comandante del rilevatore su Hiroshima ha aggiunto sul suo messaggio cifrato destinato all’Enola Gay : “Consiglio: obiettivo primario”.
La sorte di Hiroshima è segnata.
In città si aprono i negozi e comincia la consueta giornata, per nulla diversa dalle altre, verso le 8 suona il cessato allarme perché gli osservatori hanno constatato che gli aerei in avvicinamento si mantengono ad altissima quota e vengono quindi scambiati per aerei da ricognizione. Non sembra esservi dunque nessun pericolo immediato.
Sull’Enola Gay l’equipaggio indossa le tute antiscoppio. Jeppson controlla ancora la bomba e segnala a Parsons che è a posto. Alle 08.09 Tibbets vede sotto di sé la città, nitidissima fin nei minimi particolari e ordina nell’interfono: “Si va all’attacco. Mettete gli occhiali sulla fronte e abbassateli quando vi darò il segnale. Non toglieteli prima dello scoppio”. Sono occhiali speciali attraverso i quali filtra solo la luce ultravioletta. Due minuti più tardi gli altri due B29 rallentano e si distaccano di circa un chilometro dall’Enola Gay: devono paracadutare apparecchi radiotrasmittenti, oscilloscopi a raggi catodici e devono fotografare ogni particolare dell’esplosione.
Il puntatore Ton Ferebee è attentissimo al suo mirino perché deve prendere il comando novanta secondi prima dello sgancio. L’aereo vola a 10.500 metri alla velocità di 314 Km/h: Ferebee distingue le varie zone della città, finché il suo traguardo di puntamento inquadra l’obiettivo da colpire, un grande ponte alla confluenza di due bracci del fiume. Parte il segnale: sui tre aerei gli uomini abbassano gli occhiali e contano lentamente i quindici secondi che mancano allo sgancio.
Alle 08.15 minuti e 17 secondi portelloni del B29 si spalancano ed esce la bomba: in beve tratto orizzontale poi la caduta. L’aereo, privato improvvisamente di un peso così ingente, sobbalza paurosamente mentre dagli altri due B29 vengono paracadutati gli strumenti di rilevazione. Tibbets scende in picchiata, acquista la massima velocità e si allontana. Tutti stanno contando fino a 43, i secondi che separano dall’esplosione. Jeppson ha appena il tempo di gridare “Non scoppia!” che una luce accecante abbaglia tutti e qualcuno crede di essere diventato cieco.
A Hiroshima quasi nessuno avverte l’esplosione. Si vede solo un bagliore enorme ma non c’è tempo per stupirsi perché una immane ventata spazza via ogni forma di vita, seguita da un calore che deforma e strappa la pelle. Un fungo nero e sinistro attraversato da bagliori di fuoco si alza verso il cielo: sotto di esso migliaia di morti e migliaia di persone orribilmente ustionate che vagano inebetite tra un mare di macerie da cui si levano innumerevoli incendi.
Ovunque scene di terrore, gente che trascina il proprio corpo a brandelli e persone che gettano nel fiume per attenuare la sofferenza delle ustioni. In pochi secondi l’Apocalisse si è scatenata sulla città che non aveva mai conosciuto un bombardamento.
Sull’Enola Gay il capitano Lewis si volta un attimo, osserva il fungo che sale nel cielo e mormora: “Mio Dio, cosa abbiamo fatto!”.
Tre giorni più tardi, il 9 agosto 1945, la medesima scena si ripeterà a Nagasaki.
Il mondo era entrato nell’era atomica.