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Istanbul, estate 1986.

L’uomo vestito di nero si avvicina. In mano ha un tamburello e al guinzaglio un orso bruno, non molto grande e piuttosto spelacchiato. Inizia a percuotere lo strumento e l’animale accenna a una sorta di balletto girando su sé stessa e battendo le zampe anteriori come se volesse applaudire. Affascinati seguiamo i suoi movimenti scanditi dai suoni gutturali del padrone che solo l’orso capisce. Alla fine, felici per questa esibizione estemporanea che crediamo un gesto di benvenuto, applaudiamo anche noi scambiandoci commenti sulla fortuna di aver assistito ad una forma di folklore locale. Stiamo per rimetterci in marcia lungo la stradina della Città Vecchia quando l’uomo nero ci sbarra la strada con fare minaccioso e ci dice qualcosa di incomprensibile indicando l’orso che intanto si è seduto sulle zampe posteriori. Non ci sembra il caso di sfoderare il nostro francese scolastico, restiamo imbarazzati e un tantino inquieti per il coltellaccio che gli spunta dalla cintura. Ad un certo punto l’uomo gira verso di noi la parte interna del tamburello dove appare la scritta 20 in matita seguita dal segno del dollaro che universalmente indica il denaro. Ecco svelato l’arcano: dobbiamo pagare per lo spettacolo, apprezzato ma non richiesto. La delusione è grande ma non ce la sentiamo di scoprire cosa potrebbe succedere in caso contrario così con un sorriso di circostanza porgiamo 20 lire turche al pittoresco personaggio che borbotta qualcosa, più una imprecazione che un saluto. Ci allontaniamo velocemente mentre l’orso sgranocchia beatamente una mela.

Questo episodio capitato molti anni fa a Otello e me in una Istanbul completamente diversa da oggi, mi è ritornato in mente sull’onda delle polemiche (sacrosante) suscitate dall’abbattimento dell’orsa in Trentino e delle conseguenti considerazioni di ogni tipo espresse da zoologi, politici, amministratori, ambientalisti e frequentatori di bar sulle possibili soluzioni al problema. Premetto che non ho niente di pratico da suggerire se non la ferma convinzione che l’ultima cosa da fare è uccidere gli orsi. Piuttosto qualche considerazione.

Conviviamo da millenni con questo grande plantigrado, si può dire fin da quando ci contendevamo la stessa caverna, eppure nei suoi confronti abbiamo sempre una sorta di odio/amore che non si riscontra verso nessun’altra specie selvatica vivente.

L’episodio di Istanbul simboleggia, ad esempio, la secolare e singolare simbiosi presente nell’area balcanica dove l’orso ballerino era sia fonte di guadagno che compagno di vita. Nello straordinario reportage intitolato Orsi Danzanti Witold Szablowki ci racconta che da sempre le popolazioni rom della Bulgaria avevano addestrato gli orsi a ballare, allevandoli in famiglia e portandoli a esibirsi in strada. Dopo la caduta del regime questa pratica venne abolita e molti esemplari trovarono rifugio in oasi protette dove ancora oggi, quando incontrano un essere umano, si alzano sulle zampe posteriori per danzare. I loro ex padroni rimpiangono sia il comunismo che i loro animali e portano fiori sulla loro tomba. Come Georgi. “Mi intendevo meglio con lei che con alcune persone, Bastava che io la guardassi per sapere cosa mi voleva dire. L’amavo come fosse mia figlia” confessa parlando di Vela, l’orsa che gli aveva dato da vivere per anni e che aveva comprato ancora piccola in uno zoo sgangherato della provincia bulgara.

Ben peggiore è stata per decenni la sorte degli orsi in Romania, paese suggerito oggi come uno dei possibili santuari dove trasferire quelli del Trentino. Nel suo Alla ricerca del predatore alfa David Quammen racconta che nella Romania degli anni  Settanta e Ottanta i cuccioli venivano strappati alle madri nelle foreste, allevati e poi liberati in apposite riserve dove  Ceaucescu (e solo lui) andava a cacciarli. Niente di sportivo o rischioso, badate bene. Il dittatore se ne stava sulla sua altana con due aiutanti che gli ricaricavano i fucili, i battitori gli mandavano gli animali sotto e lui sparava. Poi risaliva sul suo elicottero e ritornava a Bucarest. Un giorno uccise personalmente ventiquattro orsi e in venticinque anni di regno circa quattrocento esemplari gentilmente fornitigli dagli zelanti funzionari di partito.

Oggi in Romania le cose dal punto di vista dei plantigradi non sono poi cambiate più di tanto visto che nel paese, ricchissimo di orsi bruni dei Carpazi, è fiorente il turismo venatorio internazionale che ha proprio nell’orso la sua preda più ambita. Non so se gli orsi del Trentino sarebbero d’accordo sulla trasferta.

L’unico orso buono è quello ammaestrato o quello morto, dunque? Certamente no.

Qual è l’animale giocattolo che da bambini tutti volevamo abbracciare prima di addormentarci? I bimbi americani non possono fare a meno del loro Teddy Bear, l’orsetto di stoffa che prende il nome dal presidente Theodore Roosevelt che nel 1902, durante una battuta di caccia in Louisiana, si rifiutò di sparare a un cucciolo di orso bruno ferito e legato a un albero sostenendo che non sarebbe stato sportivo.  La notizia fece subito il giro del mondo e così il povero orsetto divenne “l’orso di Teddy” e ispirò i creatori del pupazzo di stoffa omonimo.

Chi non conosce poi le deliziose avventure scritte e disegnate da A.A. Milne di Winny the Pooh, orsetto goloso e un po’ sventato che vive con altri animaletti e Christopher Robin nel Bosco dei Cento Acri? E sempre dalla tradizione anglosassone arriva Paddington che ha il nome di una stazione, porta una valigia ammaccata, indossa un vecchio cappello rosso, un montgomery azzurro ed è ghiotto di pane e marmellata. Un orso talmente amato da essere stato invitato dalla Regina Elisabetta II a prendere il the in un meraviglioso spot della BBC. E l’orso Yoghi e l’orsetto Bubu creati da Hanna e Barbera, vere e proprie star del parco di Yellowstone dove cercano di rubare ai turisti i cestini della merenda senza farsi scoprire dai rangers dove li mettiamo? E Masha e Orso? La cultura occidentale vanta insomma tutto un patrimonio culturale nel quale la figura dell’orso è positiva e rassicurante. Come mai? Ce lo spiega bene lo storico francese Michel Pastoureau:

In Europa, il re degli animali è stato a lungo l’orso: ammirato, venerato, considerato come un progenitore o un antenato dell’uomo. Non per nulla la prima statua modellata – la statua di Montespan, risalente a 15-20.000 anni fa – raffigura un orso! Ancora in età carolingia, in gran parte dell’Europa non mediterranea, l’orso era visto come una figura divina, un dio ancestrale il cui culto rimaneva ben radicato. La Chiesa doveva dichiarargli guerra, combatterlo con tutti i mezzi. E ciò fece, finendo per identificarlo con il diavolo tout court. Oltre i confini del Medioevo che con tanta determinazione l’aveva detronizzato, ormai privato di ogni prestigio, l’orso era divenuto una bestia da circo, umiliato e ridicolizzato. Eppure continuava a occupare un posto di primo piano nell’immaginario occidentale. A poco a poco, riapparve come oggetto di sogni e fantasia, fino a prendersi la sua rivincita nel Novecento, quando si è trasformato in un vero e proprio feticcio: l’orsacchiotto di peluche. Il grandioso animale è tornato a essere quello di decine di migliaia di anni fa: un compagno dell’uomo, un suo nume tutelare.”

Capito, presidente Fugatti?

Bibliografia estiva consigliata

Witold Szablowki 	Orsi Danzanti				Keller Editore
David Quammen Alla ricerca del predatore alfa Adelphi
Michel Pastoureau L’orso. Storia di un re decaduto Mondadori
Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

1 COMMENT

  1. Anni fa in una delle nostre conferenze, organizzate come Comitato cave Marocco, abbiamo ospitato un bravo “orsologo” dll’Università di Udine Stefano Filacorda. Temo sia arriavat l’ora di richiamarlo per avere i giusti consigli e le giuste informazioni.

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