Questa geniale microvettura progettata e prodotta in Italia anticipò negli anni Cinquanta un concetto che unisce l’economicità della moto alla comodità di un’auto.
Nei primi anni del secondo dopoguerra, quando di risorse finanziarie ce n’erano poche e di conseguenza poche erano anche le esigenze in fatto di comfort e di prestazioni, la disperata necessità di mezzi di trasporto fece nascere in Europa una particolare categoria di veicoli economici, intermedia tra gli scooter e le automobili.
Si trattava di mezzi generalmente biposto a tre ruote (due anteriori e una posteriore) azionati da motori motociclistici a due tempi (di solito da 200 o 300 cc) dalle linee piuttosto tondeggianti tanto che gli inglesi coniarono per loro il termine di bubble cars (auto bolla).
Anche in Italia nei primi anni Cinquanta la necessità di microvetture di questo genere produsse alcuni prototipi che però non ebbero sviluppo commerciale. L’unica proposta ad avere successo si deve all’intraprendenza di Renzo Rivolta, titolare di una industria, la ISO, nata nel 1939 a Genova per la produzione di frigoriferi, radiatori e scaldabagni, trasferita poi nel 1941 a Bresso (MI) e nel dopoguerra ricondizionatasi nella produzione di veicoli a due o tre ruote.
Poi il commendator Rivolta ebbe l’idea di fare un salto di qualità e proporre un mezzo che colmasse il divario tra la classica motocicletta e la vettura italiana più economica del momento, la Fiat 500 Topolino. Trasformò quindi la ragione sociale della sua azienda in ISO Spa Autoveicoli e incaricò due valenti progettisti, l’ingegner Ermenegildo Preti e il tecnico Pierluigi Raggi (entrambi provenienti da studi ed esperienze aeronautiche) di realizzare un mezzo a tre o quattro ruote dotato di carrozzeria che unisse l’economicità della moto al vantaggio di viaggiare con un tetto sulla testa.
Ne nacque un singolare veicolo monovolume con due ruote anteriori e due posteriori più ravvicinate e una carrozzeria simile a una carlinga aeronautica caratterizzata dalla insolita soluzione di un’unica grande porta anteriore. Il motore era un due tempi da 198 cc. a benzina montato posteriormente a destra, raffreddato ad aria con una potenza di 9,5 CV, cambio a quattro velocità più retromarcia e trasmissione a catena come nelle moto. Il telaio era costruito in elementi tubolari, cruscotto e volante erano collegati con la porta e si spostavano con essa all’apertura mentre la pedaliera restava fissa. All’interno era alloggiata una panchetta con la ruota di scorta dietro lo schienale ribaltabile e un minimo spazio per i bagagli. Il tetto era in piccola parte apribile con un inserto in tela. Il tutto in due metri e 25 di lunghezza, un peso di soli 330 chili, una velocità massima di 80 Km/h e un consumo di circa tre litri e mezzo ogni 100 chilometri. Prestazioni di tutto rilievo che facevano passare in secondo piano l’assenza di un impianto di riscaldamento e la scarsa tenuta alla pioggia dell’abitacolo.
Alla nuova creatura venne dato il simpatico nome di Isetta e fu presentata al salone dell’auto di Torino del 1953 dove fece subito sensazione tanto che venne ribattezzata “l’uovo con le ruote”.
Purtroppo, fece meno sensazione il prezzo di 450.000 lire (circa 8.600 euro), decisamente troppe per un veicolo che tutto sommato non era una vera automobile e le cui soluzioni stilistiche e tecniche erano forse premature per il DNA dell’automobilista medio italiano troppo sensibile alle apparenze.
Nonostante venisse quasi subito aumentata la cilindrata a 236 cc., nonostante il prezzo scendesse nel 1955 a 355.000 lire e nonostante l’ISO avesse presentato anche la versione autocarro e quella furgoncino, le vendite non decollavano e le giacenze di magazzino si accumulavano.
La produzione della ISO Isetta a Bresso cessò nel 1956.
Ben altro successo ebbe invece all’estero dove veniva costruita su licenza in Francia, Spagna, Brasile, Inghilterra ma soprattutto in Germania dalla BMW che tra il 1956 e il 1962 ne produsse ben 161.000 esemplari e quello che più lascia stupiti, se consideriamo l’aura di prestigio che oggi circonda la Casa di Monaco, è il fatto che fu proprio la minuscola Isetta a salvarla dalla crisi degli anni Cinquanta conseguente alla fine della guerra.
La migliore risposta del mercato tedesco rispetto a quello italiano nei confronti di questo tipo di veicolo e la disponibilità dei suoi ottimi motori motociclistici consentì all’azienda bavarese di riprendersi e controbattere la forte concorrenza interna in questo settore. La prima versione della Isetta BMW denominata 250 prodotta nel 1956 aveva la stessa carrozzeria di quella italiana ma montava un motore monocilindrico BMW R25 quattro tempi di 245 cc. e 12 CV e divenne ben presto una delle microvetture più vendute in Germania, utilizzata tra l’altro dalle Poste Federali tedesche in versione piccolo autocarro. Dopo la 300, più potente e con diversi miglioramenti come i vetri laterali scorrevoli, nel 1957 venne presentato addirittura il modello 600, più lungo e più largo, con porta anteriore più porta laterale, la carreggiata delle quattro ruote pressoché uguale e motore di 585 cc da quasi 20 cavalli. Ma non era più la stessa cosa e non ebbe certamente il successo della sorella minore, anche perché i tedeschi (a ragione) le preferivano la NSU Prinz. L’ultima Isetta BMW venne prodotta nel 1962.
Comunque la si voglia considerare resta il fatto che la Isetta, veicolo anticonformista e davvero unico nella storia della motorizzazione, non fu in patria sufficientemente compresa nella sua carica innovativa e costretta a trovare all’estero il riconoscimento che la genialità del suo progetto meritava.
Anticipando di mezzo secolo, anche se certo con un’altra prospettiva, uno dei problemi principali che affligge oggi il nostro sistema-paese.