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Qualche tempo fa, presentando il patrimonio artistico delle località lungo il corso del fiume Zero abbiamo messo in risalto la presenza di due importanti pale d’altare nella chiesa parrocchiale di Zero Branco dedicata a Santa Maria Assunta: una Sacra Conversazione di Vittore Belliniano della prima metà del Cinquecento e una Madonna del Parto di Jacopo Palma il Giovane della fine dello stesso secolo.
Ebbene, ora la chiesa può vantare altre due pale di pregevole fattura, in origine ideate e realizzate per due luoghi diversi, oggi ritornate all’antico splendore grazie a un sapiente restauro e collocate definitivamente sulle pareti a destra e a sinistra dell’altare maggiore. Di proprietà del Comune, resteranno in comodato d’uso nella chiesa, esposte all’adorazione dei fedeli e all’ammirazione di quanti apprezzano l’arte. Il 14 agosto con una solenne cerimonia sono state benedette dal parroco e svelate al pubblico. Vediamole ora in dettaglio e in ordine cronologico di esecuzione.
La prima è un olio su tela raffigurante la Madonna del Carmelo originariamente collocata nell’oratorio di Villa Guidini e commissionata nel 1696 dalla famiglia Dente, all’epoca proprietaria della villa. La Vergine con in braccio il bambino è accompagnata dai santi Ignazio di Loyola (fondatore della compagnia di Gesù) e Antonio da Padova. Gesù bambino porge a sant’Ignazio lo scapolare che, secondo la devozione carmelitana, sottraeva chiunque lo indossasse dalle pene dell’inferno. L’autore, Gregorio Lazzarini (1655-1730), fu un importante pittore veneziano attivo tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento. Lavorò per celebri famiglie patrizie e ordini ecclesiastici e la sua bottega era talmente rinomata che intorno al 1710 si occupò di formare il giovane Giambattista Tiepolo.
La seconda pala, sempre un olio su tela, è datata 1839, raffigura San Pietro e venne commissionata per l’oratorio della sua casa padronale di Zero Branco dal ragionier Pietro Sola, veneziano di origine. L’apostolo Pietro è raffigurato mentre esce da un tempio con l’indice della mano destra proteso in alto per indicare l’ispirazione divina, mentre nella sinistra porta un libro e le chiavi del Cielo in qualità di fondatore della Chiesa. Il restauro, come nota il curatore dei testi Roberto Durighetto, ha dato al dipinto “una maggiore plasticità e un più vivo e intenso gioco di contrasti chiaroscurali, dettagli cromatici e luministici di particolare efficacia espressiva”. E’ opera di Cosroe Dusi, uno dei massimi rappresentanti della pittura ottocentesca veneta. Nato a Venezia nel 1807 si perfezionò all’Accademia di Belle Arti della città lagunare, nel 1837 dipinse il sipario del teatro La Fenice e si fece una certa fama per la sua perizia tecnica ma fu costretto a cercare fortuna all’estero. Lavorò in Germania ma soprattutto in Russia, a San Pietroburgo, dove divenne pittore ufficiale alla corte degli zar. Morì a Marostica nel 1859. Ricordiamo che di questo insigne artista la chiesa di Zero Branco espone anche un bellissimo Martirio di San Sebastiano del 1839 “plasticamente e classicamente tornito ma tutt’altro che statico e legnoso” collocato sulla navata di destra.
La provincia si rivela dunque ancora una volta scrigno di pietre preziose ma alla base di tanta ritrovata bellezza è la precisa volontà di tutta una comunità di salvaguardare e valorizzare quanto di prezioso esiste sul proprio territorio. In questo Zero Branco si dimostra ancora una volta esempio virtuoso perché, come scrive il suo sindaco Luca Durighetto nella presentazione dell’evento, “la Bellezza e il patrimonio artistico di un Paese non esistono per rimanere rinchiusi negli armadi o per rimanere appannaggio di pochi, perché tutta la comunità ha diritto di godere di essi avendone cura e promuovendone la fruizione”.
Una lezione civica che vorremmo applicata anche a Mogliano Veneto dove certo le gemme da valorizzare non mancano, a cominciare dal grande affresco trecentesco nella sacrestia della chiesa parrocchiale. Può bastare un benemerito centro culturale come il Brolo che periodicamente espone la grande arte universale? Forse, ma perché ad esempio non inventare percorsi didattici nelle ville (in accordo con i proprietari) o nelle chiese (molti parroci non aspettano altro) dove esiste un patrimonio straordinario che aspetta solo di essere conosciuto, anche e soprattutto dalle giovani generazioni (leggi scuole) che saranno chiamate a custodirlo dopo di noi. Per non parlare della ricaduta turistica che si gioverebbe del grande volano rappresentato da Venezia e dai suoi milioni di turisti. Qualche mese fa durante i dibattiti elettorali tutti si sono affrettati a sostenere che Mogliano non può essere solo una città dormitorio. Lo sentiamo dire ogni volta ma ancora una volta nei programmi non abbiamo trovato uno straccio di proposta seria e circostanziata sulla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, se non generici e triti accenni alla “terra di Piranesi, Berto e Toti dal Monte”. Non basta più.
Grazie, prof. De Zottis, per questo importante contributo!
Avendo avuto parte nel passato nel salvare le due opere trattate nell’articolo, posso dire con soddisfazione che, finalmente, esse hanno trovato una degna collocazione anche se, mi riferisco alla tela del Lazzarini, la sua vera collocazione sarebbe l’oratorio di Villa Guidini, ma avendola sostituita con una copia fedele, la sua collocazione nella parrocchiale significa salvarla, almeno speriamo, dai furti. Un’operazione avviata nel 2000 per il Lazzarini con un primo restauro di Antonio Bigolin e nel 2004 per il Dusi col medesimo restauratore, finalemente è giunta a compimento. Tutto è bene quel che finisce bene.