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Mi accade sempre più spesso: mi corico a tarda ora e nel buio, anziché abbandonarmi a un sano riposo, penso cosa posso fare io per i bambini di Gaza. Mi chiedo quale dio feroce ispiri i neonazisti e neofascisti (tragico ossimoro della storia) che governano Israele.

Non trovo alcuna risposta alle mie dolorose elucubrazioni e tuttavia una rabbia incancellabile sedimenta nel mio animo, contestualmente a un senso di impotenza che mi affligge.

Come faccio allora a parlare, con disinvolta indifferenza, di “frutti selvatici”, gentili Lettori.

Eppure, devi farlo, mi dico, anche se sei della Bilancia e non sopporti le ingiustizie; e infine lo fai, pensando che “niente resterà impunito”, come diceva l’inserto Cuore dell’Unità di tanti anni fa, evocando una pia illusione.

L’estate è la stagione dei frutti, selvatici ma non solo e quella che stiamo vivendo è un’estate più estate di sempre.

Ecco allora che una passeggiata in campagna, laddove la campagna esiste ancora con le sue siepi folte e i suoi fossi limpidi, può riservare il privilegio di osservare e raccogliere more di rovo, more di gelso, prugnole, bacche di Sambuco, prugne selvatiche o magari nocciole. Se poi si passa accanto a una casa contadina abbandonata alla vegetazione selvatica, ai colombi e agli elementi demolitori, potrà capitare di rinvenire grandi arbusti di Fico carichi di frutti maturi e dolcissimi, o alberi decorati da susine viola e, solo per i più fortunati, alberi carichi di “pereti moscatei”, anch’essi dolci e dissetanti.

I frutti selvatici, la cui raccolta prosegue nell’autunno con i cinorrodi di Rosa di macchia – i popolari “stropacui” – con le noci “che fanno bene al cuore”, con le nespole deliziose e con i cachi, più decorativi e assai più dolci delle “palle di Natale”, costituivano un patrimonio alimentare nel passato dei nostri padri (da quest’ultima affermazione comprenderete che l’autore è un vecchio).

Un modesto e complementare, ma per questo non meno prezioso, “patrimonio alimentare”.

Con i frutti selvatici, infatti, la nonna (mitica figura di vecchia oggi sostituita da “donne sempreverdi” di età indefinibile, con bocca rifatta, capelli tinti, ecc. ecc.) faceva le marmellate, destinate ad addolcire il palato dei ragazzini, a decorare i dolci poveri e squisiti e a durare per l’intera stagione fredda. Le leggendarie marmellate in cui intingere secondo tradizione il dito prima di succhiarlo. Le stesse per cui era comunque proibito farsi cogliere “con il dito nella marmellata”, come da consolidata tradizione della nostra classe politica.

Marmellate di fichi, di prugne, di more, di stropacui, di sambuco nero, ma anche sciroppi di fiori di sambuco e nocino per risollevare l’umore dei vecchi. Insomma, una festa dell’abbondanza povera. Povera, ma al tempo stesso squisita, sana e ricca di vitamine al punto da far impallidire gli “integratori chimici” con cui i cittadini del Terzo Millennio credono di tenersi in forma.

Certo serviva lavoro: lavoro e dedizione, con la raccolta, la preparazione, la cottura. Ore, giorni di lavoro che non pesavano, ma erano anzi un utile e intelligente passatempo i cui prodotti, è il caso di dirlo, venivano apprezzati nelle settimane e nei mesi successivi.

Tutto questo: questo impegno, questa pazienza, questa abilità, ora non esiste più. Molto meglio i prodotti industriali, zeppi di conservanti e pazienza se poi i nostri cadaveri non si scioglieranno nella tomba, anche perché il problema sarà altrui.

Siamo giunti al punto che, se si vuole assaggiare una marmellata di Rosa di macchia o di corniole, è necessario sconfinare nella vicina Slovenia, dove l’attenzione per questi prodotti poveri esiste ancora. Eppure, è così bello riempire un cestino di more di Rovo e contenderle alle mosche verdi, alle api e alle vespe, alle cimici verdi e ai merli. Anche perché questo esercizio offre la sensazione che la campagna esista ancora e che la vita selvatica, intorno a noi, non sia ancora stata cancellata del tutto; magari per realizzare un “Bosco dello Sport”, un capannone o un “Residence Paradiso”.

Michele Zanetti
Michele Zanetti vive vicino alle sponde del Piave e di acque, terre, esseri viventi si è sempre occupato. Prima come "agente di polizia provinciale" e adesso come naturalista a tutto tondo. È stato il cofondatore di un attivo centro didattico "il Pendolino" , ed è l'autore di una cospicua serie di libri su temi ambientali di cui è anche capace illustratore. ha intrapreso anche la via narrativa in alcune pubblicazioni recenti.

1 COMMENT

  1. Gentile Michele, apprezzo molto i suoi articoli, per i quali provvedo con piacere a fare editing e audio (quando mi è possibile). In questa occasione però mi è dispiaciuto leggere la parentesi sulle nonne di oggi, che credo abbiano il diritto di fare ciò che le fa sentire meglio senza sentirsi giudicate in un articolo sui frutti selvatici. Almeno tanto quanto ne hanno diritto i nonni palestrati, anch’essi contemporanei (e spesso altrettanto tinti) che hanno sostituito i nonni “vecchi” dei nostri tempi. Ma loro non sono stati citati. Forse perché non facevano marmellate?
    Un caro saluto
    Elena Carraro

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