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Dopo “Parole d’estate” (sofego, petaisso, bombo, broà, scravasso) maniacali continuiamo con un’altra cinquina.

Vi ricordate di “attimino”? Una parola assurda, una frazione di una frazione che però inflazionò le nostre conversazioni. Per anni abbiamo “portato avanti un discorso” e come? Trasportandolo come bagaglio a mano? Sono state parole, idiomi che per qualche misteriosa ragione sono diventati popolari “sulla bocca di tutti”. Niente di male. Se siete tipi da “nella misura in cui” questa rubrica non fa per voi. Cerchiamo allora di scovare quelle espressioni, quei tic linguistici destinati a infastidirci, senza scampo, per qualche anno.

Con quale scelta? Con quale criterio? Boh, personale e parziale. Per prima “verticale” dedicata agli amici etilici di lunga data. Poi ai politici con la vendoliana “narrazione”. Seguirà l’ambiente, mia debolezza, con “resilienza”, dentro però ci metto anche l’abusata “sostenibilità”.

E poi la bestia nera, l’odiosa, la evitabilissima “boomer”. In quelle righe cercherò di riversare tutto il mio risentimento verso i giovani che sopporto solo perché sono necessari per la prosecuzione della specie. Figlia compresa.

Devo arrivare a cinque, numero cabalistico, e forse, ma non ne sono sicuro, andrò sul “virale” e anche qua cercherò di gettare fango sull’infornata di informatica che ci ha travolto. Perfettamente inutile dopo l’invenzione della penna biro.

Verticale.

Cominciamo da Lucio. Un paio di mesi fa mi dice… No, devo premettere che lui fa parte di Slow Food e partecipa, golosamente, alle iniziative gastronomiche e non di questa associazione. Insomma, mi dice che deve andare ad una “verticale di Barolo”. La parola vinicola mi illumina gli occhi ma sbando sull’altra. Come verticale? Nel senso che metti i bicchieri uno sopra l’altro o devi salire da qualche parte per degustare meglio? Lucio con infinita pazienza mi spiega che è una degustazione-assaggio di uno stesso prodotto, solo che la fai seguendo un certo criterio. La gradazione, la geografia, l’intensità del sapore. Bene, capito. Mi si apre un mondo, riconosco questo termine dappertutto: verticale di questo verticale di quell’altro. Una verticale di pizzette che poi sarebbero vari esemplari minuscoli, in ordine di piccante, una verticale di formaggi, una verticale di qualsiasi cibo o alcolico. Dire che nel frigo avete solo avanzi di patate non è una resa incondizionata, potreste organizzare una verticale di solanacee.

Imparato ciò passiamo ad un altro verticale, che dire, un po’ abusato. Parliamo di un’icona dell’architettura: il giardino verticale. Non solo quello di Milano realizzato da Stefano Boeri, ma delle mille imitazioni sparse un po’ ovunque. Pareti vegetali che possono ingentilire le nostre cementose e grigie città. Tutto bene? Sì, però però. Intanto costano un botto, la presenza di quel verde decuplica il costo dell’immobile e a volte maschera con delle belle piantine le solite operazioni di consumo del suolo. Non so se avete seguito la polemica dei palazzi “verdi” costruiti a strapiombo sul Sile a Treviso, giudicate un po’ voi. Però parlare di verticalità verde piace e ti dà un tono: fa molto Milaaano, fa molto Domus, fa essere di moda.

E le verticali alpinistiche? E le verticali e le orizzontali del cruciverba? Sempre Lucio, quello del Barolo, mi ha raccontato questa.

Quando era un maestro stava facendo giocare i bimbetti con i contrari. Lui diceva brutto e il ragazzino rispondeva bello e avanti così. Gioia e didattica. A un certo punto Lucio dice “alto” e l’infante brufoloso rispondePar tera!”. Ecco questa forse è la morale linguistica di queste righe ma domani la buttiamo in politica, “portiamo avanti un discorso”, e parliamo di “narrazione”.                        

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

3 COMMENTS

  1. Gustosa e dotta dissertazione etimo e (in parte anche) etilo-logica, Otello. Oltre che farmi riflettere sul ripetuto mal uso e abuso della nostra peraltro ricchissima lingua, al limite della violenza (verrebbe da dire anche, forzando un pochino, stupro) testuale, leggerti mi ha fatto divertire in modo sano e assoluto.

  2. Non conoscevo questa nuova espressione, grazie. Mi permetto di suggerire un verbo che purtroppo viene usato sempre più a sproposito: andare. Soprattutto nelle trasmissioni televisive (ma si sta insinuando anche tra le persone di una certa cultura) si ascoltano frasi del tipo:”dopo qualche minuto andiamo a scolare la pasta…”. Ma ‘ndo vai!

  3. Osservazioni che non fanno una grinza.
    Nel leggerle, mi è sembrato avere fra le mani uno scritto di mio papà, anche lui contro queste espressioni: “portando avanti il discorso nella misura in cui”, “attimino” ” pochettino”, eccetera.
    E vogliamo parlare poi dell’abuso di certi termini inglesi, come video-call, anziché videochiamata, o smart working anziché telelavoro?
    Ma questa è tutt’altra storia, e meriterebbe un capitolo a parte!!
    Complimenti ancora e grazie.

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