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In un recente articolo (uno dei suoi tanti, divertenti e ironici) l’amico Otello Bison con la sua consueta sarcastica etimologia, ha iniziato ad affrontare termini della lingua italiana ormai frusti o banali, tipo un “attimino”. Il termine che prende in esame nell’articolo è verticale e mi tira in ballo per averglielo citato a proposito di una verticale di Barolo organizzata da Slow Food. Lo fa, al solito, scherzandoci su, in modo spassoso e godibile.

Ma la foto di presentazione dell’articolo e alcune battute dentro le righe possono, come spesso accade, veicolare un’immagine distorta di Slow Food, come di un movimento, mettiamola così, vocato al “magna e bevi”: niente di più scontato e banale! Per questa ragione mi permetto di prendere le mosse dall’ironia di Otello per far luce sulla vera natura di questo movimento presente in tutto il mondo.  Perché è vero che da sempre Slow Food si occupa di vino e di cibo, così sapientemente descritti da Carlin Petrini (il fondatore di Slow Food) nel suo celebre libro “Buono, pulito e giusto”, ma se n’è occupato e se ne occupa per combattere il sistema agroalimentare industriale, per ritrovare la gioia del gusto e del buono contro i cibi iperprocessati, per mangiare e bere in modo sano in alternativa a un’agricoltura soffocata dai pesticidi e dai prodotti di sintesi, per dare dignità, anche economica, al duro lavoro dei contadini virtuosi, stritolati da un mercato irresponsabile. E perché, è bene rammentarlo, la scelta del cibo è un atto politico.

E vale anche la pena di ricordare, a questo proposito, che furono proprio Slow Food, e Petrini in prima persona, all’epoca dello scandalo del metanolo negli anni Ottanta, a orientare le aziende vitivinicole verso la qualità, prima in Piemonte, poi in Veneto (vedi l’affermazione dell’Amarone) e via via in tutte le altre.

Ma Slow Food non è solo questo, anche se non è certo poca cosa, perché il sistema alimentare e la sua trasformazione è tema strategico dal punto di vista produttivo ed economico (ricordo che l’agricoltura industriale contribuisce per il 37% all’immissione di CO2 nell’atmosfera, più di tutte le auto messe assieme).

Slow Food è molto di più. Più che verticale è soprattutto orizzontale. Nel senso che si occupa della vita degli uomini e delle sorti del pianeta. Con i suoi “presìdi” ha salvato materie prime e prodotti della tradizione in via d’estinzione e rigenerato piccole economie locali; ha una fondazione dedicata alla salvaguardia della biodiversità; promuove l’agroecologia e le aziende agricole che seguono le buone pratiche di coltivazione e allevamento; ha dato vita all’iniziativa “10.000 orti in Africa” per sostenere la sovranità alimentare del continente africano; è strenuamente impegnato per incentivare una legislazione europea a sostegno di un’agricoltura sostenibile; partecipa con le Comunità Laudato Sì a diffondere l’enciclica di Papa Francesco imperniata sull’ecologia integrale; da anni promuove attività formative nelle scuole di base e ora sta raccogliendo le firme per rendere obbligatoria l’educazione alimentare nei programmi scolastici; ogni anno organizza grandi eventi che radunano contadini, allevatori, pastori, pescatori, docenti, produttori di tutto il mondo: “Terra madre” e “Il salone del gusto” a Torino, “Slow fish” a Genova, “Cheese” a Bra; ha istituito “l’Università delle scienze gastronomiche” (unica in tutta Europa) a Pollenzo, che accoglie giovani di tutto il mondo per formare i gastronomi del “cibo buono, pulito e giusto” del domani.

Concludo che l’ironia e le cose serie possono benissimo interagire, anche per spiegare che le verticali di Slow Food fanno parte della cultura del vino, e non rientrano certo nel novero dei beoni. Provare per credere.

Lucio Carraro
È nato a Mogliano Veneto il 3.6.1954. Ex insegnante, è stato Assessore alla Cultura, Pubblica Istruzione e Commercio del Comune di Mogliano Veneto. Scrittore, ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Collabora con varie Associazioni culturali e sociali.

1 COMMENT

  1. Ho provato, lo conosco e so. Purtroppo per uno che sa ci sono cento che vivono di pastasciutta surgelata da mettere in microonde o di spaghetti cinesi a cui aggiungere solo acqua calda, o di panini dei “mecvari” fatti di puri prodotti italiani a km0… Se manca la consapevolezza del gusto (anche semplice: mica serve mangiare per forza chissà che per mangiare bene!) manca la cultura del cibo.
    E dimentichiamo che siamo fatti di ciò che mangiamo una volta tolto ciò che espelliamo…

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