Chi sarà costretto a rinaturalizzare i fiumi e le città?

Le nuove generazioni saranno costrette a misurarsi con  gli effetti più deleteri dell’antropizzazione esasperata lungo le sponde dei fiumi e della cementificazione altrettanto esasperata degli ambiti urbani dove vive concentrata la moltitudine di persone in sofferenza per un caldo sempre più tropicale e diventato sempre più minaccia economica e sanitaria per qualsiasi attività umana all’aperto.

La rinaturalizzazione dei nostri fiumi e delle nostre città non  potrà  prescindere  da scelte rigorose in termini di riequilibrio dei cicli naturali a cui saranno costretti, grazie alla nostra cecità morale ed ecologica, i figli e i figli dei nostri figli.  Il rispetto del “ciclo naturale dell’acqua” comincia dalla salvaguardia del fenomeno naturale del  percolamento  dell’acqua meteorica e del suo immagazzinamento nelle falde,  possibile grazie al ripristino della naturalità dei fiumi, della vegetazione delle loro sponde e  delle loro aree golenali.

In questa direzione va la “normativa  comunitaria per il restauro della natura”, entrata in vigore il 18 agosto 2024, il cui Regolamento prevede il conseguimento dell’obiettivo di ripristinare nell’Unione Europea, entro il 2030,  almeno 25.000 km di fiumi a flusso libero.

A tal proposito, un pensiero preoccupato non può non andare al folle progetto delle casse di espansione di Ciano del Montello lungo il corso del Piave, un progetto che si pone in “totale controtendenza” rispetto agli obiettivi della legge per il ripristino della natura.

Quello dei grandi invasi artificiali è un “approccio scientifico-tecnologico” per contenere le piene che ignora tutte le “controindicazioni scientifico-naturalistiche” legate all’interruzione del deflusso naturale dei corsi d’acqua, senza dimenticare che i letti dei fiumi, liberi da costruzioni e attività produttive, consentono, comunque, una esondazione naturale controllata  che carica le falde acquifere. Tale rinaturalizzazione  è possibile allargando le aree golenali, distanziando gli argini, facendo spazio a nuova vegetazione che combina la “funzione di evaporazione-traspirazione” delle foglie degli alberi (utile per la formazione delle nuvole e della pioggia e  per abbassare le temperature dell’aria circostante) con la funzione  di “assorbimento-stoccaggio” dell’acqua da parte delle radici degli alberi.

L’entrata in vigore il 18 agosto 2024 della “normativa comunitaria per il restauro della natura” può avere determinanti  conseguenze  anche sulla “qualità dell’aria”. Infatti, il regolamento prevede l’impegno degli Stati membri dell’Unione Europea di piantare almeno tre miliardi di alberi aggiuntivi entro il 2030.

Quest’ultima misura punta a “rinaturalizzare il ciclo dell’aria”, necessaria, sia per il contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici (mitigare le alte temperatura e la conseguente umidità dell’aria), sia per il  miglioramento della purezza dell’aria (ridurre l’inquinamento dell’aria e le patologie  respiratorie e oncologiche).

La norma mira ad aumentare la “connettività ecologica” attraverso la riforestazione e la piantumazione diffusa di alberi e l’aumento degli spazi verdi urbani. Senza uno stop deciso e urgente al consumo di suolo e alla perdita di superfici naturali è impossibile entro il 2030  onorare l’impegno per la piantumazione di tre miliardi di alberi. Ma poiché il suolo, in Italia, lo abbiamo consumato vergognosamente (grazie alla mancanza di una legge nazionale e a  deroganti leggi regionali colabrodo) bisognerà anche agire nelle zone delle nostre città ormai interamente sommerse dal cemento, operando delle scelte rivoluzionarie, coraggiose, allo scopo di realizzare progetti diffusi, piccoli e grandi di forestazione urbana.

Bisognerà, in quelle aree, togliere l’asfalto e il cemento dalle nostre strade e dai nostri marciapiedi per fare spazio agli alberi: per rinaturalizzare i centri urbani non c’è altra via. La qualità della vita sana viene prima di qualsiasi esigenza di viabilità urbana e non possiamo, in nome di questa frenetica e climalterante esigenza moderna, precluderci condizioni di vita più sana. Gli alberi, se correttamente gestiti e curati, non sono una minaccia: dobbiamo liberarci di strampalati e superficiali concetti tecnocratici sulla sicurezza.

Quegli orribili marciapiedi di nuova generazione a base di asfalto e con aiuole di mattonelle (un autentico obbrobrio urbanistico, ecologico, estetico) vanno dichiarati climaticamente incompatibili con l’epoca in cui siamo stati catapultati.

Dante Schiavon
Laureato in Pedagogia. Ambientalista. Associato a SEQUS, (Sostenibilità, Equità, Solidarietà), un movimento politico, ecologista, culturale che si propone di superare l’incapacità della “classe partitica” di accettare il senso del “limite” nello sfruttamento delle risorse della terra e ritiene deleterio per il pianeta l’abbraccio mortale del mito della “crescita illimitata” che sta portando con se nuove e crescenti ingiustizie sociali e il superamento dei “confini planetari” per la sopravvivenza della terra. Preoccupato per la perdita irreversibile della risorsa delle risorse, il “suolo”, sede di importanti reazioni “bio-geo-chimiche che rendono possibili “essenziali cicli vitali” per la vita sulla terra, conduce da anni una battaglia solitaria invocando una “lotta ambientalista” che fermi il consumo di suolo in Veneto, la regione con la maggiore superficie di edifici rispetto al numero di abitanti: 147 m2/ab (Ispra 2022),

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