Il 20 settembre si ricorda la morte in combattimento di Sandro Gallo. Garbin – il suo nome di battaglia – faceva e fa parte della mia famiglia, era il fratello di mia mamma Anna, staffetta partigiana.

Il 20 settembre si ricorda la morte in combattimento del partigiano Sandro Gallo che con il nome di battaglia “Garbin” operò in Cadore.

Sono passati ottant’anni.

Marco Zanetti sta scrivendo un libro su Sandro e qui troviamo anche un suo contributo bello e importante per conoscere chi fu e come operò quest’uomo nella Resistenza al nazi-fascismo.

E ciò è fondamentale: senza racconto non c’è memoria, non c’è esempio, non c’è pensiero.

Mi sento molto coinvolto in questi ricordi.

Ma non solo perché “Garbin” faceva e fa parte della mia famiglia, era il fratello di mia mamma Anna, staffetta partigiana.

E nemmeno perchè tutta la famiglia era fieramente antifascista ed anche partigiana a partire dai fratelli di Sandro, Giampaolo e Piero.

Il ricordo affettivo è certo importante e presente in ogni pensiero.

Ed è una memoria molto evidente perchè io nasco solo sette anni dopo la morte di “Garbin” e quindi la sua vita, i suoi pensieri furono protagonisti della mia prima giovinezza.

E tutto avviene a casa dei nonni Cancianilla e Mario, in famiglia mia con mia mamma Anna e mio padre Vittorio e con gli zii.

Ma non fu mai il racconto romanzato, l’avventura epica, l’epopea del difensore delle libertà.

C’era una sorta di prudenza affettiva nel raccontarmi chi era Sandro, cos’era stata nel concreto la Resistenza e come la mia famiglia aveva vissuto quegli anni.

Dovevo chiedere e insistere.

E ripetutamente perché le risposte spesso erano fatte di sorrisi e di “ti racconterò”.

E così è stato sempre, per anni.

Ed ho scoperto molto tempo dopo che la stessa cosa accadeva nelle famiglie dei miei cugini figli appunto di partigiani.

Mi sono chiesto spesso il perchè di questa riservatezza.

E lo domandai un giorno a mia mamma con cui avevo più confidenza.

Mi diede allora una risposta attenta e, mi parve, anche sofferta.

Maurizio, mi disse, non dimenticarti che lo zio Sandro non c’è più e questo dolore è così forte che supera il senso di giustizia e di soddisfazione per aver vinto una battaglia di libertà e di emancipazione.

E poi la guerra non è bella.

Non si può non fare in alcuni casi, e può essere perfino giusta.

Ma mai con felicità, mai con spensieratezza.

La guerra costa nelle morti e nelle ferite.

Quelle fisiche e quelle mentali che poi ti rimangono dentro.”

Focolai di tristezza, ceneri calde di morte.

Non posso qui riportare le parole di uno zio Sandro che non ho conosciuto fisicamente ma posso dire il senso di alcune espressioni che tante volte o ho sentito a casa o ho capito nella storia di famiglia.

Occorre essere “intransigenti” nelle questioni fondamentali che segnano la libertà e la democrazia.

Perché il prezzo che altrimenti si paga è drammatico.

Così come non si giustifica un atteggiamento sempre “ruvido, duro, insensibile”.

Comprendere e capire non sono una debolezza.

Lo scrive splendidamente in un libro che adoro Giampaolo Gallo “Palino”, il fratello partigiano di Sandro.

Si chiama Aforismi partigiani e racconta della vita in montagna, della solitudine, della materialità dei bisogni quotidiani, dei sogni di chi è nascosto per combattere.

Ele parole che sentivo dicono poi di quanto è importante il senso dell’”organizzazione” con i suoi silenzi e le sue verità.

Ti fanno capire il significato dello stare insieme tra diversi ma con una ineluttabile gerarchia di guerra, di comportamenti e di partito.

E in questo stare in montagna da partigiani c’è insieme “passione” e “pensiero”, quasi a ricomporre il cervello ed il cuore perché senza entrambi non si sfida la morte e il destino.

Ed infine queste parole rendono esplicite le “similitudini e differenze” che le epoche misurano e raccontano dando pieno peso ad una espressione temuta ma necessaria: “responsabilità”.

La domanda che però a questo punto sale alla mente senza che lo si voglia, ma prorompente, è questa: ed ora?

Costituì la brigata “Garibaldi” intitolata a Pier Fortunato Calvi. Nome di battaglia “Garbin”nato a Venezia il 30.5.1914, morto a Lozzo di Cadore il 20.9.1944 (da ANPI)

Che cosa c’entra tutto ciò con l’oggi?

Non mi interessa certo fare similitudini con l’attualità.

Servirebbe a semplificare le situazioni, a darci spiegazioni già presenti in noi e potrebbe soltanto confondere le memorie con il quotidiano.

Mi interessa invece conoscere ciò che è accaduto, rileggere i perchè di una lotta e delle scelte che si fecero, capire le relazioni ed i rapporti tra le forze diverse che furono protagoniste della Resistenza.

Perché una cosa è chiara.

Che se si studia il passato lo si può affrontare.

E se si studia il presente forse lo si può cambiare.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

2 COMMENTS

  1. Una guerra civile è tremenda, forse più di una guerra tra stati. Da quelle parti, Cadore, che ogni tanto frequento, apprendo come i suoi strascichi siano ancora divisivi nelle memorie delle persone e non è l’unica zona del Veneto ove mi accade, fuori dai convegni storici, di sentire parlare non bene dei partigiani per racconti famigliari che si tramandano. Di sicuro quelli che ricordano in tal modo, posso e voglio immaginare, non pensano fosse meglio vincessero i fascisti, ma rimane significativo quanto la memoria delle persone sia difficile si evolva anche a fronte della lezione della Storia e cioè che la Democrazia è di sicuro meglio della Dittatura. Ho ascoltato racconti di diversi partigiani, anche racconti obiettivi che ammettevano come, per stato di necessità, fosse necessario andar per le spicce e come anche tra le loro file si nascondesse qualche delinquente profittatore così come spie pronte a vendere i compagni per soldi. Resta in me però la convinzione che chi è stato partigiano come “Garbin” e la stragrande maggioranza di coloro che tennero duro anche durante il tremendo inverno del ’44 senza smobilitare, ognuno di loro meriterebbe se non una targa su un muro, almeno un ritratto in ogni casa che li vide nascere a li allevò.

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