La guerra a Gaza non è solo una terribile crisi umanitaria, ma anche economica. Oltre alla ingente distruzione materiale, il conflitto ha messo in ginocchio l’economia palestinese, aggravando le già precarie condizioni di vita a causa dell’occupazione e delle restrizioni imposte da Israele.

La distruzione non riguarda solo gli edifici, ma anche l’intero sistema di approvvigionamento alimentare e idrico. Il 90% delle risorse idriche è inutilizzabile, ma non solo; anche le strutture sanitarie e produttive sono compromesse. Ciò sta portando milioni di palestinesi verso una condizione al limite della sopravvivenza e una ricostruzione pressoché impossibile.

Come ha detto anche Giancarlo Corò nel suo articolo, la situazione in Cisgiordania non è molto diversa. Nonostante non subisca bombardamenti diretti, l’occupazione israeliana impone blocchi economici che colpiscono il commercio e impediscono la crescita. Le restrizioni alla mobilità, attraverso check-point e barriere, rendono impossibile per i palestinesi accedere ai mercati e costruire un’economia autonoma rendendo la Cisgiordania dipendente dagli aiuti internazionali, una soluzione che non permette sviluppo a lungo termine.

Uno degli effetti più gravi è l’aumento della disoccupazione. A Gaza, il tasso raggiunge il 42%, mentre in Cisgiordania la situazione non è molto migliore. La mancanza di opportunità lavorative, unita alle limitazioni imposte dall’occupazione, alimenta la frustrazione e contribuisce all’instabilità sociale. Le restrizioni impediscono la crescita economica e come accade di conseguenza anche l’aumento della criminalità.

Anche il settore agricolo, una delle poche fonti di reddito per molti palestinesi, è gravemente colpito. Gli agricoltori non riescono ad accedere alle loro terre in sicurezza, e le esportazioni vengono bloccate o ritardate, riducendo la competitività dei prodotti sui mercati internazionali.

Questa economia soffocata dall’occupazione non può svilupparsi senza un cambio di rotta politico. Come sottolineato anche da Corò nel suo articolo, il conflitto non riguarda solo la guerra in sé, ma il blocco sistematico di ogni opportunità di crescita. La comunità internazionale, pur offrendo aiuti, non riesce a imporre un cambiamento concreto. Le istituzioni globali, come l’Unione Europea e le Nazioni Unite, continuano a finanziare progetti di ricostruzione, ma non affrontano alla radice le cause del problema.

La pace in Palestina non potrà mai essere raggiunta senza un solido sviluppo economico. Gaza e la Cisgiordania non hanno solo bisogno di aiuti temporanei, ma di un piano di crescita sostenibile, che permetta alla popolazione di costruire un futuro dignitoso. Finché questo non accadrà, il conflitto continuerà a produrre distruzione e povertà, bloccando ogni speranza di pace duratura.

Mihai Sirbu
nato e residente a Marcon, studente presso l'istituto Bruno-Franchetti. Vari interessi tra cui la tecnologia, la storia e l'attualità. Membro del gruppo Giovani di Marcon.

1 COMMENT

  1. Necessario costruire una Società del rispetto
    Delle Religioni dei costumi delle tradizioni e quindi delle opportunità economiche di ogni Popolo reciprocamente la base della convivenza e prosperità

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