Tra le più amate coupé apparse tra gli anni Sessanta e Settanta c’è senz’altro la Lancia Fulvia, vera e propria eccellenza della produzione automobilistica italiana
Come tante delle storie che vi abbiamo fin qui raccontato, anche questa riguarda un tempo ormai lontano quando ancora esisteva l’industria automobilistica e faceva scuola nel mondo. Tutto parte da una domanda: come trasformare una quattro porte tranquilla e signorile in una delle più eleganti coupé mai disegnate e nonostante la sua anima un po’ borghese farla diventare competitiva nei rally al massimo livello tanto da creare una vera e propria leggenda?
La tranquilla berlina di cui parliamo è naturalmente la Lancia Fulvia presentata nel 1963 e destinata a fare concorrenza alla ben più grintosa Alfa Romeo Giulia e alla onesta Fiat 1100/D. Ricordiamo che in quegli anni Lancia era ancora un marchio indipendente e Alfa Romeo apparteneva all’IRI. Entrambe, come è noto, furono poi assorbite dal Gruppo Fiat. La Fulvia era stata disegnata da Piero Castagnero (autore anche della Flavia) che aveva vestito con una linea a tre volumi, squadrata e non particolarmente attraente, una meccanica moderna che prevedeva la trazione anteriore e un motore quattro cilindri a V stretta (12 gradi) di 1.091 cc. con l’inedita distribuzione a due alberi a camme in testa, alimentato da un carburatore doppio corpo verticale che forniva una potenza massima di 59 CV, comunque sufficiente alla pesante e poco aerodinamica vettura per sfiorare i 140 Km/h. Questa Fulvia ottenne un discreto successo soprattutto grazie alle sue doti di comfort, qualità costruttiva e tenuta di strada, com’era nella tradizione Lancia ma quasi subito Castagnero, affiancato dall’ingegnere strutturale Aldo Castagno, cominciarono a lavorare ad una sua versione sportiva che avrebbe dovuto avere una lunghezza massima di quattro metri ed una configurazione 2+2 posti dell’abitacolo. Alla ricerca di una linea filante e originale Castagnero si ispirò nella definizione delle forme nientemeno che ai leggendari motoscafi Riva, veri e propri capolavori di eleganza ed efficienza idrodinamica. Il risultato fu un gradevole coupé che più nulla aveva a che fare con la berlina da cui derivava se non le luci posteriori e la forma trapezoidale della griglia anteriore. Con un passo (cioè la distanza fra le l’asse anteriore e quello posteriore) di 15 centimetri più corto, la vettura presentava linee squadrate ma tese, con una coda tronca e un cofano del bagagliaio leggermente concavo, un padiglione “a torretta” dotato di ampie superfici vetrate e montanti sottili per un’ottima visibilità, quattro grandi fanali rotondi di egual misura ai lati della griglia anteriore e una caratteristica presa d’aria alla base del parabrezza. Eleganti i rivestimenti interni in panno Lancia (o in finta pelle a richiesta) e la plancia in vero legno così come in legno era la corona del volante a due razze. Insomma un concentrato di eleganza ma con una netta impostazione sportiva, a cominciare dalla posizione di guida a gambe e braccia distese. L’abitabilità posteriore restava naturalmente piuttosto relativa e si limitava ad una panchetta adatta a contenere valigie o due bambini.
Il propulsore della berlina non era però abbastanza potente (anche se nel 1964 era stata introdotta la Fulvia 2C che, grazie ai due carburatori a doppio corpo orizzontali, disponeva ora di 71 CV per una velocità massima di 145 km/h) così la cilindrata del coupé venne portata a 1.216 cc. incrementando l’alesaggio, inserendo una testa in lega leggera e inserendo due carburatori doppio corpo che garantivano una potenza di 80 CV e facevano raggiungere la vettura i 160 Km/h grazie anche al peso di 950 Kg, ben ottanta in meno della berlina.
La nuova Lancia, subito chiamata familiarmente “Fulvietta”, venne presentata al Salone di Ginevra del 1965. In quell’anno alla guida del governo italiano troviamo Aldo Moro mentre al Quirinale alloggiava Giuseppe Saragat, si completava il traforo del Monte Bianco e si inaugurava l’Italsider di Taranto, al cinema trionfavano “Tutti insieme appassionatamente” e “Il Dottor Zivago” mentre una magnifica Treviso in bianco e nero faceva da sfondo a “Signore e signori” di Pietro Germi.
La benzina costava a 120 Lire al litro (1,47 euro) mentre la nuova Fulvia coupé 1.2 1.545.00 Lire (quasi 19.000 euro).
Il pubblico, anche quello femminile, fu subito conquistato dell’ultima nata di casa Lancia ma a spingere le vendite furono soprattutto i suoi successi sportivi perché il Reparto Corse Lancia, guidato da Cesare Fiorio, la utilizzò nei rally in versioni potenziate e alleggerite e la sua prima vittoria fu al Rally dei Fiori del 1966. Da questo momento l’ascesa sportiva della piccola Lancia si rivelò inarrestabile grazie alle versioni Rally 1.3, Rally 1.3 HF e soprattutto 1.6 HF ( detta “fanalona” per le dimensioni degli abbaglianti anteriori) che troverà la sua consacrazione sulle strade ghiacciate al Rally di Montecarlo del 1972 con Sandro Munari e Mario Mannucci, battendo le favoritissime Mini Cooper, Alpine Renault e Porsche 911. La storia produttiva della popolare “Fulvietta” termina nel 1976 con le versioni Montecarlo e Safari per un totale di 150.000 esemplari venduti. Resta il mito di una automobile ancora amatissima dagli italiani perché dietro l’apparente tranquillità della sua linea sobria ed elegante si è dimostrata capace di prestazioni straordinarie. Un po’ come quei cavalli di razza che sono bellissimi da vedere e da accarezzare ma se gli lasci sciolta un po’ la briglia….