MESSA TRA GLI ULIVI

“Messa domenicale”.

(..) La campana ha esteso l’annuncio fin dove i declivi lo stemperano”.

Inizia così il racconto “Messa tra gli ulivi” di Giorgio Torelli contenuto nel volume “La luna nell’oblò” (Àncora, 2007 pagine 176)  

Dopo aver introdotto il lettore nell’atmosfera festosa del giorno dedicato al Signore, con tutta la genuinità che caratterizza i suoi scritti, Torelli descrive i fedeli presenti alla funzione liturgica, “sul legno antico dei banchi, e sulle scranne impagliate”.

Lo scrittore e giornalista si guarda attorno, sorride, osserva “la stessa turba di bambini e bambine, chiamati attorno all’altare per far da chierichetti (…) cominciare a ridere e poi nascondersi la faccia tra le mani, tener viva una caciara di mosse, intese, segnali (..)”.

C’è pure un San Sebastiano ad attirare l’attenzione di Torelli “irto di frecce. Sono decenni che soffre”.

Ad assistere alla funzione oramai prossima ad avere inizio, anche un colombo “(..) sfreccia, percorre veloce lo spazio della navata e di nuovo vira. E’ come se lo Spirito Santo fosse venuto di persona”.

Ma ecco, “Campanella in suono, gran tirata di corda, si prodiga un biondino in bretelle e orecchi a sventola, fin quando esce solenne da una tenda il signor parroco. Ha la berretta col fiocco nero e la pianeta. Lo sciame dei ragazzi fa subito cerchio al reverendo. E si comincia in coralità d’intenti”.

Tutti seduti, allora, gran rumore di scranne, posizioni comode. Parla il reverendo, che ispirandosi al Vangelo, verterà sulla deplorevole abitudine locale di sparar bestemmie”(…)

Il racconto prosegue riportando le parole del sacerdote: «Se uno dice porco qui e porco là, allora…nu ghe sému, non ci siamo per niente, ma proprio per niente. Che vergogna. Come piangono gli angeli custodi!».

Il parroco vuole bene ai suoi fedeli, ed il giornalista lo intuisce da come prosegue: «Ma se uno, invece, la prende dolce – la vita – e sa rimaner paziente, se saremo come Dio comanda, lavoratori che accettano il peso dei giorni, allora sì! Allora ghe sému! Dài, non fate così. Non tirate sacramenti. Fate del bene che non costa tanto. Fate contento anche me che abito con voi e sto qui a dire: sia lodato Gesù Cristo».

Un racconto, “Messa tra gli ulivi” che è vera poesia letteraria, come tutti gli altri presenti nel volume, da leggere e gustare come se si bevesse un brandy o un tè caldo seduti in sofà, una sera d’inverno, con la coperta sulle ginocchia.

Antonio Fabris
Classe 1974, da venticinque anni dipendente della Confcommercio di Treviso, vivo da sempre a Mogliano Veneto, e sono un appassionato di Storia locale. Fan di Giovannino Guareschi, lettore di libri sul Veneto, e sulla mia città, frequento, e collaboro, con il Gruppo Ricerca Storica Astori "Don Giuseppe Polo". Da un paio di anni a questa parte, mi sono appassionato anche alla storia del ghetto di Venezia, in particolare della letteratura ebraica (1558-1663).

2 COMMENTS

  1. Persona interessante.Il fhetto di venezia sembra sia il primo con quel nome ed è una miniera di fattie di storie saluti e auguri

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