“Gorizia – Nova Gorica: capitale europea della cultura 2025” è quanto si legge sempre più spesso in annunci via internet, articoli di giornale e organi di comunicazione, da qualche mese a questa parte.
Due nomi abbinati, non uno soltanto, come normalmente avvenuto in precedenza per le altre città italiane che hanno ricevuto il medesimo titolo, ovvero Bologna, Firenze, Genova e Matera.
Questo abbinamento è il risultato di un accordo tra i sindaci Ziberna (di Gorizia, Italia) e Miklavič (Nova Gorica, Slovenia), che il 25 maggio 2019 firmarono congiuntamente la candidatura delle rispettive città limitrofe a Capitale europea della cultura 2025, titolo ottenuto l’anno seguente.
“Capitale” al singolare, pur trattandosi di due città distinte, per storia passata, lingua e cultura e che, fino agli anni ’90 del secolo scorso erano separate da un confine di Stato, attraversabile solo con l’esibizione di un passaporto, per ambo le parti.
Gorizia ha origini antiche, che gli storici fanno risalire all’età romana; Nova Gorica è nata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli Alleati stabilirono i nuovi confini in base alla Linea Morgan, con le Zone A e B, in un complesso e delicato momento politico che vedeva l’Italia tra i paesi sconfitti e la nuova Jugoslavia governata dal maresciallo Josip Broz detto Tito, che aveva respinto i nazifascisti senza avvalersi dell’intervento dell’Armata Rossa.
Gorizia nel corso della storia ha visto svilupparsi al proprio interno diverse componenti etniche, culturali, linguistiche: quella asburgica di lingua tedesca, quella slava, l’italiana, la friulana, e quella ebraica, di matrice azkenazita. Gli ebrei goriziani sono di fatto tutti scomparsi negli inferni di Auschwitz e altri campi.
Gorizia si presenta quindi come una città “sfaccettata e plurima”: sono queste le parole usate da una goriziana d’adozione, Giustina Selvelli, nel suo interessantissimo libro intitolato Capire il confine. Gorizia e Nova Gorica: lo sguardo di un’antropologa indaga la frontiera, Bottega Errante Edizioni, Udine 2024 (182 pp. 20 euro).
Si tratta di un prezioso strumento per conoscere e scoprire l’unicità di questa città di confine, con tutte le implicazioni che il crescere e vivere in una città di confine può comportare. La nostra autrice che, stando a quanto racconta, deduciamo essere poco più che quarantenne, è passata dalla percezione del confine attraversabile con l’utilizzo del lasciapassare per i frontalieri, la propustnica, a diversi momenti della storia recente, fino a quando il valico internazionale della Casa Rossa/Rožna Dolina e la vecchia Stazione ferroviaria della Transalpina collocata in territorio jugoslavo e a due passi dal centro di Gorizia, furono aperti definitivamente a libero transito, grazie all’ingresso della Slovenia in Europa nel 2004.
Giustina Selvelli è nata in una famiglia mista, per lingua e nazionalità. Madre messicana e padre italiano, è originaria di Pieris, una località in provincia di Gorizia, e nel Goriziano ha trascorso gli anni dall’infanzia alla prima giovinezza. Con i genitori, fin da bambina si recava con soddisfazione particolare in quell’estero così vicino, la Jugoslavia fuori dalla porta, dove facevano un sacco di escursioni naturalistiche, scorpacciate di prodotti tipici, acquisti di alcuni prodotti che la piccola Giustina trovava indubbiamente speciali, anche se forse, non erano sostanzialmente migliori di qualcosa di analogo trovato in Italia.
Il suo rapporto con il mondo slavo, meglio sloveno, diviene un tutt’uno con le altre due componenti, quella italiana, paterna e quella ispanica, materna. Un humus fecondo, che assieme all’arricchente esperienza del confine, fa generare quegli interessi culturali che da adulta la conducono alla carriera di antropologa e sociolinguista, con la titolarità di una cattedra all’Università di Lubjana.
Il suo amore per tutto ciò che è slavo, anzi sloveno, è evidente, manifesto, dichiarato, ma questo non le impedisce di essere obiettiva nei giudizi che esprime sull’attuale Stato sloveno, cui non risparmia critiche, e lo stesso vale per l’Italia e le amministrazioni goriziane. Nella trattazione di temi che le stanno particolarmente a cuore, come quello della salvaguardia dell’ambiente, dello sfruttamento del fiume Isonzo/Soča, che è patrimonio sia sloveno che italiano, si rammarica che la collaborazione tra le parti non abbia ancora raggiunto i risultati auspicabili.
Inseriti opportunamente in alcuni capitoli, troviamo degli approfondimenti che consentono al lettore di contestualizzare più efficacemente le problematiche trattate e forniscono informazioni di base tutt’altro che scontate. Ad esempio, ci sono schede sui Paesi non Allineati, sull’insegnamento della lingua slovena nel Goriziano, sulla breve guerra che portò all’indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia, e molto altro ancora. Molti sono anche i riferimenti a scrittori sloveni di valore, a una filmografia poco nota, ma sicuramente significativa.
Questo libro è importante perchè ci aiuta a conoscere una realtà fino ad oggi poco conosciuta, considerata marginale per la restante parte d’Italia, confinata appunto in un piccolo angolo a nord est della penisola. Oggi è venuto il momento di scoprire questo mondo e approfondirne la storia, proprio in vista degli eventi che si svolgeranno a Gorizia – Nova Gorica nell’arco del 2025.