L’Albania, così vicina e lontana. Un popolo intelligente che la Storia ha spesso percosso e altrettante volte si è rimesso in piedi con mezzi propri. La cronaca passata, dopo la caduta del dittatore Enver Hoxha, ci ha rappresentato “il paese delle Aquile” come problematico, spesso in cerca di un’affermazione che, nella debolezza originaria di uno Stato da ricostruire, ha costretto i propri cittadini a trovare delle soluzioni al vivere quotidiano che, come succede nel nostro mezzogiorno, sono sfociate nell’emigrazione e talvolta nella scorciatoia della malavita. Ma oggi sono oltre 400.000 i cittadini albanesi rispettabili che vivono stabilmente in Italia (quasi 32.000 nel Veneto): una comunità che è molto ben integrata, spesso indistinguibile dagli indigeni, anche perché impara presto un ottimo italiano; la maggior parte della manodopera di origine albanese si concentra nel settore industriale. Spiccano, in riferimento alla tipologia professionale, gli occupati nel lavoro manuale specializzato come artigiani, mentre il dato dei titolari di imprese individuali di origine albanese supera il 9%. È rilevante, in questi nuovi italiani, un desiderio di riconoscimento per affidabilità, superando i luoghi comuni negativi: per affermare l’onestà e l’onore dell’albanese basta domandare: “a je burrë me besë?: “sei uomo di besa?” La besa corrisponde al significato di ospitalità e protezione di chi ha bisogno, indipendentemente dalla razza o dalla religione: aiutare senza pretendere contropartite conferisce onore.

Proprio in questi giorni ne ho avuto riprova da una storia minima che mi è stata raccontata con l’orgoglio di chi fa della correttezza un vanto da esibire. Autorizzato dai protagonisti, la famiglia albanese di Sadush ed Erida Petriti, mi permetto di renderla pubblica. Molti moglianesi conoscono Erida per le sue competenze letterarie. Sadush conduce un’ottima pizzeria d’asporto nel rione San Marco.

In questi primi giorni novembrini la coppia era in viaggio a Firenze, anche per mostrare al figlio minore, Justin, la bellezza artistica dell’epoca rinascimentale: ad un certo punto i tre si sono ritrovati nella calca di Piazzale Michelangelo, il balcone sontuoso che domina la città di Firenze. Appoggiato su una panchina hanno ritrovato, dimenticato e solitario, un borsello!  Apertolo si sono accorti che conteneva tutti i passaporti di una famiglia straniera svedese, oltre 1000 corone in contanti, tre carte di credito di cui una col codice d’accesso, ingenuamente trascritto in un foglio stampato. Grasso che cola per un delinquente, ma la storia ha preso la piega imposta dai componenti della famiglia Petriti. Dopo aver cercato invano il proprietario, si sono rivolti al numero telefonico d’emergenza 112.  Fin qui la storia esemplare.

L’interlocutore all’altro capo del telefono, per nulla gentile, li ha invitati bruscamente a rivolgersi ad una stazione dei carabinieri, lasciando intendere che il numero aveva ben altre incombenze da assolvere. Nessuna ulteriore indicazione per aiutarli. Sintesi: i signori Petriti hanno rinunciato ad immergersi tra le preziosità del centro antico, per recarsi ad assolvere tutte le lunghe formalità burocratiche in una anonima e non comoda stazione di polizia, dove hanno consegnato il borsello con tutti i valori. Credo valga la pena osservare che se non si fosse trattato di gente onesta e, magari, avessero dirottato il tutto in certi ambienti malfamati all’estero, si calcola che avrebbero potuto “guadagnare” fino a qualche decina di migliaia di euro. Ma l’onore non ha prezzo.

Parlando con il signor Sadush del loro atto di correttezza, mi ha lasciato intendere che il proverbio “chi la fa l’aspetti” in questo caso è particolarmente azzeccato: nel mese di marzo scorso, mentre si recava in auto allo stadio Tardini di Parma (si giocava l’amichevole Cile-Albania), era capitata a lui una simile disavventura. Nel tratto tra Padova e Bologna si era fermato a far rifornimento ad un distributore. Purtroppo dopo la ripartenza ha constatato che il suo portafoglio, contenente 500 euro, doveva essergli malauguratamente sgusciato fuori dalla tasca della tuta sportiva: ritornato indietro lo aveva potuto ritrovare, intatto e custodito con cura dal gestore della pompa.

Questa storia minima – non è una favola – si presta a diverse morali: che bisogna diffidare, una volta per tutte, dal pregiudizio insulso verso gli stranieri; che anche molti gestori dei distributori italiani sono persone oneste e, soprattutto, che esiste un Paese Italia dove avvengono normalmente degli atti di consolante altruismo ed onestà. Anche su questi mattoni si può costruire il senso di una nazione multietnica che guarda in faccia lealmente al futuro.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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