Cari, affezionati Lettori, oggi parliamo di male piante e cominciamo dicendo che chiunque abbia l’occasione di gettare uno sguardo poco meno che distratto sui prati d’argine fluviale, al bordo delle rotabili di campagna o nei prati e incolti di periferia in attesa di urbanizzazione, potrà notare la presenza di un’alta graminacea dall’aspetto disordinato.
Una pianta erbacea i cui steli fiorali si elevato dal ciuffo di foglie basali per circa 50-60 cm e talvolta più e la cui presenza, ad uno sguardo più attento, appare invasiva.
Una pianta infestante, che sta lentamente conquistando ogni superficie erbacea dell’ambiente umanizzato, determinando una semplificazione floristica tale da modificare, negativamente, gli stessi paesaggi prativi. Si immagini, infatti un prato stabile con le proprie fioriture (Salvia di prato, Margherita comune, Ginestrino, Vedovelle dei prati, Linaria comune, ecc. ecc.), trasformato in una monotona distesa di erbacce dall’aspetto poco gradevole e privo di note cromatiche particolari.
Stessa cosa riguarda gli incolti, invasi fino a qualche anno addietro, da decine di “infestanti erbacee” (Cencio molle, Topinambur, Convolvolo strisciante, Romice, Cardo dei campi, Cardo asinino, ecc.) che competevano tra loro per la conquista del nuovo spazio e che ora sono sostituiti da una distesa omogenea e incolore della stessa graminacea invasiva.
Ebbene si tratta dell’indistruttibile “Sorgheta” dei Veneti, pianta erbacea perenne e rizomatosa, che il italiano si chiama Sorgo selvatico e il cui nome scientifico è Sorghum halepense.
A rivelarci la provenienza è il none scientifico: halepense, come il Pino (Pinus halepensis), significa che viene da Aleppo, città della Siria e dunque dal Medio Oriente, oltre che dal Nordafrica. La stessa area geografica, il Medio Oriente, con cui Venezia intratteneva, storicamente, intensi scambi commerciali.
Proprio a quegli scambi, dunque, si deve probabilmente l’introduzione della specie, mediante l’importazione di semi, magari mescolati casualmente con altre derrate. Importazione che, come sempre più spesso accade con le specie alloctone introdotte accidentalmente, ha determinato l’insediamento stabile della specie nella Pianura Veneta e dunque la sua “naturalizzazione”. Naturalizzazione che poi significa “capacità di diffondersi spontaneamente” e dunque buona sintonia ecologica con l’ambiente di nuovo insediamento.
Fin qui niente di straordinario, perché il peggio sarebbe venuto dopo e in particolare nella seconda metà del Novecento, quando la dilagante monocoltura di Mais, che ha preceduto quella attuale del Prosecco, ha favorito l’impiego di diserbanti chimici selettivi, a base di Atrazina.
Ecco allora che l’affinità biologica tra Zea mays e Sorghum halepense, con quest’ultimo risparmiato dall’azione letale degli stessi diserbati, ne ha determinato la diffusione invasiva. Con il risultato che anche ora che il Mais sembra al tramonto, la micidiale “Sorgheta” continua a svolgere il suo infaticabile lavoro di conquista.
Le foglie della pianta, a causa del caldo e del freddo intensi, possono inoltre concentrare acido cianidrico e risultare velenose per gli erbivori, ma il suo danno più grave all’ambiente è di diversa natura.
La perdita di biodiversità che consegue alla sua diffusione invasiva, è un dato di fatto, anche se non può certo essere colta dallo sguardo poco meno che distratto di cui si parlava poc’anzi. Essa costituisce comunque una drammatica realtà, che rischia di toglierci la tavolozza vivente dei prati, con il loro ricchissimo concerto di vita selvatica. Le farfalle, infatti, non sanno che farsene della “Sorgheta” (e neppure degli umani, a dire il vero).
Sitografia
- https://it.wikipedia.org/wiki/Sorghum_halepense
- https://luirig.altervista.org/flora/taxa/index1.php?scientific-name=sorghum+halepense