I BOSCHI AUMENTANO? Falso, ma auspicabile

Bisogna viverli i boschi, camminarci, respirarli. Anche nelle Prealpi Trevigiane e Bellunesi, la realtà che frequento da anni, è impressionante l’opera delle motoseghe, sostenuta dalle giustificazioni più assurde e strampalate e che rendono il bosco più fragile e più esposto al dissesto idrogeologico.

È antropocentrica la narrazione che se ne fa: una “narrazione industrialista”, secondo modelli economici decontestualizzati dall’emergenza ambientale e climatica. Ed è in funzione anche di tale emergenza ambientale e climatica che si parla di “Inventario nazionale delle foreste e dei sequestri  forestali di carbonio” e come diventi essenziale l’espansione delle “foreste vetuste”  se pensiamo che  una grande quercia secolare è in grado di sequestrare 100, 200 volte più carbonio di una pianta giovane.

E come,  sempre in funzione dell’emergenza ambientale e climatica, si dovrebbe parlare di “Inventario  nazionale delle foreste e dell’assorbimento forestale dell’acqua meteorica” perché la prima barriera contro le alluvioni e la siccità della pianura sono proprio gli alberi dei nostri  boschi che (oltre a contenere il dissesto idrogeologico e la ricchezza in biodiversità  del sottobosco) trattengono l’acqua con le loro radici e attraverso le foglie favoriscono l’evapotraspirazione utile per la creazione delle nuvole e delle piogge.

Ma la concezione produttivistica dell’Homo Sapiens e lo stato di sofferenza in cui versano i nostri boschi per gli effetti che i cambiamenti climatici producono sul loro stato vegetativo rischiano di compromettere la necessaria e potenziale espansione di “boschi maturi”. Un documento di Mountain Wilderness dell’agosto 2022 commentando i dati dell‘Inventario forestale 2015 osservava come dell’aumento della superficie forestale di 560.000 ettari ne restava ben poco se si toglievano 160.000 ettari di boschi bruciati nel 2020, i 150.000 ettari bruciati nel 2022, i 50.000 ettari devastati da Vaia e le decine  di migliaia di ettari  devastati dal “bostrico” che dopo una “schiantata” è in grado di infestare fino al 500% della superficie colpita.

Le “schiantate”: un fenomeno che è già diventato ordinario per effetto dei cambiamenti climatici. Uno studio della Fondazione Edmund Mach del Trentino rivela come in Europa dal 1958 al 2001 si aveva una media di schiantate di 2,9 milioni di mc/anno, mentre in soli 3 anni, 2019-2021, si sono avuti una media di schiantate per 200 milioni di mc/anno. 

Nel nostro paese è evidente come ad aumentare sia l’occupazione di aree agricole o pascoli in abbandono da parte di arbake news sulla reale entità del nostro patrimonio forestale. La più grossolana sostiene che siamo tra le nazioni più ricche di boschi d’Europa, ma in un documento del 2023 del Parlamento Europeo i sei Stati europei con la maggiore copertura forestale sono Svezia, Finlandia, Spagna, Francia, Germania e Polonia.

In una direzione ecologica suicida va il “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali” (Decreto legislativo n. 34/2018),  risultato di una lettura pigra ed  astratta sull’entità del nostro patrimonio forestale, una lettura  interamente sconnessa dallo sconvolgimento geomorfologico e climatico indotto dal surriscaldamento del pianeta e da quello che sta accadendo ad opera dell’uomo nella “realtà” dei nostri  boschi. Secondo il Gruppo Unitario Foreste Italiane le utilizzazioni forestali (tagli boschivi) dal 2004 al 2018 sono aumentate del 70% E poi c’è la pratica diffusa dei tagli abusivi e dei tagli di piccole superfici dove basta una semplice “dichiarazione di taglio” che naturalmente avviene senza alcuna verifica della loro regolarità.

C’è quindi la necessità di aumentare la  diffusione di “foreste vetuste” che non devono essere solo dei musei di biodiversità da recintare. Altrettanto necessario è il contrasto al ceduo e al  taglio a raso per dare spazio ai “boschi a fustaia”, allungando i tempi di utilizzazione, con tagli selettivi sotto il controllo di un Corpo Forestale dello Stato il cui ripristino appare sempre più urgente. Purtroppo sta prevalendo un pensiero unico che accomuna accademici, l’ambientalismo industrialista (lo stesso  che invoca pale eoliche nei crinali e pannelli fotovoltaici sul suolo agricolo) e governi di destra e di sinistra: un pensiero monocorde condizionato dal mantra del produttivismo economico a breve termine.

Dante Schiavon
Laureato in Pedagogia. Ambientalista. Associato a SEQUS, (Sostenibilità, Equità, Solidarietà), un movimento politico, ecologista, culturale che si propone di superare l’incapacità della “classe partitica” di accettare il senso del “limite” nello sfruttamento delle risorse della terra e ritiene deleterio per il pianeta l’abbraccio mortale del mito della “crescita illimitata” che sta portando con se nuove e crescenti ingiustizie sociali e il superamento dei “confini planetari” per la sopravvivenza della terra. Preoccupato per la perdita irreversibile della risorsa delle risorse, il “suolo”, sede di importanti reazioni “bio-geo-chimiche che rendono possibili “essenziali cicli vitali” per la vita sulla terra, conduce da anni una battaglia solitaria invocando una “lotta ambientalista” che fermi il consumo di suolo in Veneto, la regione con la maggiore superficie di edifici rispetto al numero di abitanti: 147 m2/ab (Ispra 2022),

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