Dressing vuol dire vestirsi. Cosa mettersi addosso, quel che simboleggia e cosa vogliamo far capire agli altri. Si chiamava look una volta. Ora è cambiato e tutti i giornali parlano di dressing power. Che sarebbe in soldoni ciò che si mettono quelle e quelli che contano.
Titoli, sottotitoli, articoli su come era vestita Melanie Tramp il giorno (la notte) dell’incoronazione. Il vestitino Dior severo ma neanche tanto stava a significare che lei voleva celebrare il suo nuovo status di first lady, un grigio ufficiale bilanciato dalla mancanza del top (ahi) e da una gonna medio lunga (meno ahi). Tutto quello che sembrava un vestitino elegante da inaugurazione di una bocciofila è diventato un sorta di messaggeria piena di significati. Dietro, lo sappiamo, c’è un mondo che lavora, centinaia di persone che curano anche il bottoncino, colors fashion stylist, virtual visual, communication designer business image expert…
Il dressing power è ormai un linguaggio universale, il vestirsi è quasi più importante di quello che diciamo. E se Kamala avesse perso perché si addobbava come Angela Merkel con un blazer sobrio e pantaloni? Troppo seria e ripetitiva?
Qualche osservatore ha visto in Melanie una citazione neanche tanto lontana dalla Thatcher, quei suoi tailleur perfettini e i due filini di perle: un simbolo perfetto di potere acquisito, altro che armocromia della povera Schlein.
Nella Casa Bianca, magari in camere separate, lei, la nuova first, userà Dior (direttrice creativa un’italiana Maria Grazia Chiuri) enfatizzando con un sorriso autorità sobrietà e femminilità. Quel che farà il marito un’altra faccenda, con i suoi cappellini e tutto quel rosso nelle cravatte. Sì, perché il rosso è il colore dei repubblicani, beffa finale per i progressisti planetari.
A proposito e il dressing power della nostra Giorgia nazionale? A curare il suo stile è un altro Giorgio nazionale, il milanese Armani. Anche lei punta alle tonalità classiche, qualche pastello però, e pantaloni, solo pantaloni.
Ma torniamo alla nostra missione: salutare l’ingresso di parole più o meno nuove che spodestano il nostro navigato (e naufragato) linguaggio. Vi ricordate “È gradito l’abito formale” stampato in qualche invito, celebrazione. Superato, in basso a sinistra adesso si scrive “dress code” e guai a voi se non rispettate il codice (vestiario) richiesto.
Dovete scegliere con cura l’outfit. Che poi sarebbe il vestito. Se vi chiedono quale outfit mettersi per un colloquio di lavoro voi rispondete sempre con un “elegante ma comodo” e non sbagliate mai.
Tanto non vi assumeranno.