Come sono solito fare mi rivolgo innanzitutto ai miei sette lettori (numero magico, alla faccia di chi ne ha settemila!) per chiedere loro: interessano i passeri? Interessa l’argomento quanto meno bislacco di cui intendo occuparmi in questo numero della rivista? Qui, mi direte, assistiamo impotenti ad un genocidio di bambini perpetrato dai neonazisti che governano “la sola democrazia del Medioriente” e tu vieni a parlarci di passeri! Ma dai, per favore!!!!
Beh, cari e affezionati lettori, forse non avete notato che si sta avvicinando il Natale. Forse nel vostro villaggio di campagna l’amministrazione comunale non ha ancora appeso le luminarie natalizie e i negozi sono ancora illuminati dai candelabri e dunque non ve ne siete accorti, ma il Natale sta arrivando comunque e noi, come tutti, vogliamo dimostrarvi di essere buoni, alla occidentale. Vogliamo dimostrarvi di andare contro corrente rispetto al consumismo smodato del blek fraidei (so che non si scrive così, ma perché per parlare e scrivere in italiano devo studiare l’inglese?) e allora vi parliamo semplicemente e soltanto di passeri, come se al mondo non stesse accadendo nient’altro. Come se voi non poteste più vivere senza sapere qualcosa di più sui dolci, timidi, ciarlieri, deliziosi, poveri passeri … che non ci sono più.
Per questo, nell’accingerci a farlo, dobbiamo confessare di vergognarci un po’.
Per chi fosse nato dopo il 2010, anzi, dobbiamo spiegare che i passeri erano gli uccelli più urbani e rompiscatole che esistevano. Nel senso che la mattina non ci si poteva svegliare senza il cinguettio dei passeri e che i passeri venivano citati persino nelle canzoni, come i “passeracci” di Roma capoccia o il “passerotto non andare via” di Baglioni. Non solo, ma anche le poesie ne erano contaminate; chi non ricorda il romantico “Passero solitario” di Leopardi, che in realtà, pur chiamandosi così, non era uguale ai passeri urbani nostrani, ma tutt’altra cosa.
Ebbene in Italia vivono ben tre specie del genere Passer: la Passera d’Italia (Passer italiae), la Passera mattugia (Passer montanus) e la Passera sarda (Passer hispaniolensis).
Da noi, nelle nostre campagne, erano frequentissimi il Passero d’Italia (chiamarlo “passera” mi sembra a questo punto offensivo) e il Passero mattugia. Il primo eminentemente urbano e dunque legato all’habitat degli edifici, nei cui interstizi e sotto le cui tegole nidifica; il secondo, invece, campagnolo e nidificante nelle cavità arboree. Li conoscevano bene i nostri padri e i nostri nonni, che attendevano l’inverno per tendere loro insidie mortali e cucinarli nella classica combinazione “poenta e osei”, oppure per esercitarsi al tiro al bersaglio con le micidiali fionde.
Ad un certo punto, però, come d’incanto i passeri sono scomparsi, o quasi, regalandoci una nuova “primavera silenziosa” e ricomparendo, molto timidamente e a ranghi assai ridotti, soltanto dopo circa quindici-vent’anni e dunque oggi.
Come mai? Si chiede e mi chiede la gente.
Le risposte al quesito, invero fantasiose e improbabili, si trovano pure in internet, la nuova enciclopedia popolare universale. In realtà, la Scienza, che qui indegnamente rappresento, avanza un’ipotesi suggestiva quanto realistica: i passeri sono scomparsi a causa di una pandemia. In altre parole sono stati contaminati da un virus letale trasmesso loro dalla mite Tortora dal collare orientale (Streptopelia decaocto), di cui sono spesso commensali. Ne sarebbe riprova il fatto che, laddove come a Venezia, le tortore sono presenti con popolazioni assai ridotte, i passeri sono ancora relativamente numerosi.
Ora, loro stanno tornando, mentre noi umani occidentali, ricchi, democratici e qualunquisti, stiamo andando. Dove? Chiederà il solito lettore curioso. Ma a festeggiare il Natale, ovviamente, tra luminarie, doni, alberi sfavillanti di luci e tanta, tanta bontà.
Ebbene di fronte a tutto questo, confesso nuovamente di vergognarmi, profondamente e se penso alle terribili immagini di Gaza, che con reticenza filo-statunitense le TV di Stato ci propinano ogni volta che siamo a tavola, mi vien da dire che, in nome delle elementari solidarietà ed empatia umane, il Natale non dovremmo proprio festeggiarlo. I passeri, almeno, non lo farebbero mai.