Subito incavoliamoci. Ma perché di “comfort zone” ne parliamo un sacco e subito predicare che bisogna uscirne, che fa male perché si sta rintanati nella bambagia e non si affronta il mondo. E perché dovrei alzarmi dalla mia poltrona e duellare con il resto del pianeta? E uno. E due: bisogna usare la “emme”, in inglese è così e nel nostro italianetto c’è la “enne” quindi non si usa più “conforto” ma si dice e si scrive “comfort”. Mi sono sfogato adesso ragioniamo meglio.

Spiegazione doverosa: Treccani, Devoto-Oli e compagnia bella.

La “comfort zone” è lo stato mentale della persona che agisce in assenza di ansietà, con un livello di prestazione costante e senza percepire rischio. Hai detto poco: stare tranquillo, mi immagino con le ciabatte rosicchiate da Saetta (il mio quasi cane) davanti al caminetto acceso (inquinamento accettabile) con un libro di Stephen King (mi rilassa) e un bicchiere di rosso assassino (di meditazione, si dice).

No! Arriva lo psicologo belloccio tipo Crepet e ti dicono che no, è troppo comodo. Bisogna uscire dalla tua sfera di sicurezza, di comodità perché altrimenti non crei niente di nuovo. Atrofizzi la tua intelligenza e se tutti facessero così sarebbe la paralisi sociale, umana e totale. E giù a spronare i giovani a non cadere in questa felpata trappola. Citano gli “Hikikomori”, quei ragazzi giapponesi che si chiudono nelle loro camerette e non escono mai o solo per andare in bagno (spero). Approfondire. Non solo sono giapponesi, o coreani tanto ci confondiamo sempre, ma anche ragazzi italiani, scrivono 50.000 come tutti gli abitanti di Venezia (viventi).

Stiamo allargandoci. La zona di conforto (difficilissimo da pronunciare rispetto a comfort zone) è considerata dagli strizzacervelli una sorta di furbata per non affrontare l’ansia, la prestazione e il rischio. Rimanere nel proprio guscio ovattato senza crescere. Lo psico-fascinoso-tv di turno cita Annibale: “O troverò una strada o ne costruirò una”. E bravo, vai, prendi il largo. Io rimango con Saetta che russa davanti al caminetto scoppiettante. E con un bicchiere di…no cavolo è già vuoto, questo si che è sconfortante.

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

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