Secondo Bauman “nella società dei consumatori “l’homo consumens” aspira alla gratificazione dei desideri più di qualsiasi altra società del passato ma, paradossalmente, tale gratificazione deve rimanere una promessa e i bisogni non devono aver fine, perché la piena soddisfazione sfocerebbe nella stagnazione economica”. Per dare una risposta sul perché gli ecologisti (o quelli che si definiscono tali) hanno uno scarso consenso politico non si può prescindere dall’assunto di Bauman e dall’invasivo indottrinamento commerciale rivolto alla massa di consumatori. Alla “vera lotta ecologista”, quella, per intenderci, che ha coerentemente interiorizzato il principio del “limite” e del “ben-essere”, spetta quindi un compito molto arduo. A rendere il compito ancora più complicato ci si mette pure l’affermarsi di un pensiero unico su come declinare, in modo scivoloso, la “sostenibilità”: un termine saccheggiato semanticamente, ecologicamente e politicamente da tutta la “nomenclatura partitica” e da parte del mondo ambientalista.
Ad una coraggiosa lotta ecologista manca, a mio avviso, una “strategia”, il cui perno, politico ed ecologico, dovrebbe essere una “radicalità” nella visione di un futuro diverso, dove la “lentezza” e il “contatto con la natura” diventino “valori” che possono riempire il vuoto esistenziale che sta dietro il culto edonistico dell‘apparire e del possesso ed esibizione di oggetti che per produrli provocano inquinamento, sfruttamento e ingiustizie sociali in Italia e nel mondo.
Una visione radicalmente, ecologicamente e spiritualmente diversa di futuro, che purtroppo verrà tacciata di utopia anche da molti “pseudo ecologisti”, ma che potrebbe venire in soccorso delle forme di alienazione morale e spirituale indotte dallo stile di vita improntato sul “black friday”. La “radicalità nella visione di un futuro possibile” è necessaria per valorizzare la spinta rivoluzionaria dei giovani e delle migliaia di associazioni e comitati locali che lottano contro lo sperpero di risorse naturali e per favorire una lotta ecologista il cui obiettivo primario è, non tanto il consenso elettorale a breve, ma la presa di coscienza tra larghi strati della popolazione consumatrice. Per realizzare tale obiettivo, in un’epoca basata anche sul consumismo dell’informazione, la vera lotta ecologista deve essere supportata da una comunicazione efficace, dove la “rinuncia” allo spreco di beni e risorse venga prospettata come propedeutica per un vero “ben-essere”.
Certo, bisogna, “contemporaneamente”, lavorare ad una immediata e urgente transizione verso un nuovo modo di fare economia, un nuovo modo di concepire mestieri e competenze, un nuovo modo di creare occupazione. Ad esempio: quante decine di miliardi di soldi pubblici si spendono ogni anno per opere pubbliche che creano dissesto idrogeologico e inquinamento e che potrebbero essere destinati ad un’economia della manutenzione e relativa riconversione occupazionale e produttiva di aziende e lavoratori? Sotto tale ottica è triste constatare l’affermarsi di un “pensiero unico”, dove il sindacato è al fianco dei fautori del liberismo economico per chiedere un sostegno dello Stato all’industria privata dell’auto e non un sostegno a nuove forme di economia legate al periodo geo-climatico che stiamo vivendo. Ha ragione Luciana Castellina, nel suo intervento a Terra Madre, quando scrive: “Se vogliamo prendere davvero sul serio la transizione ecologica non possiamo non esigere anche il passaggio dal modello produttivo lineare a quello circolare. Invece di produrre e costruire, bisogna riparare e aggiustare. Questo cambia nel profondo i mestieri. Solo per fare un esempio fra i tanti possibili, il metalmeccanico non potrà solo produrre frigoriferi, li dovrà anche aggiustare. C’è dunque necessità di una rivoluzione delle categorie occupazionali accompagnata dalla nascita di piccole cooperative di servizio, di una istruzione che fornisca le nuove competenze tecnologiche necessarie anche per rammendare”. Si tratta, in piena crisi geoclimatica, di creare occupazione dando coerentemente forma al bisogno di “resilienza”. E accanto al “rammendo manifatturiero” proposto da Luciana Castellina perché non può esserci il “rammendo ecologico” per la difesa idraulico climatica e per la manutenzione nei diversi territori di tutte le grandi e piccole infrastrutture, dei grandi e piccoli manufatti o il “restauro” del già edificato caduto in disuso e il suù adattamento funzionale. Il rammendo ecologico e il restauro del già edificato potrebbero, ad esempio, oltre che a creare occupazione nel settore edilizio, favorire il ripopolamento delle nostre zone interne.
L’ambientalismo, confinato ai margini della scena politica e mediatica nonostante una profonda crisi ecologica in corso, deve posare uno “sguardo sovversivo” sulla narrazione dominante, quella che fa diventare sostenibile qualsiasi iniziativa economica ed essere capace di spiegare la “necessità” e i “vantaggi” di una visione radicalmente diversa del futuro.
Treviso 17 12 2024 – Condivido in pieno la tua impostazione della problematica ambientale…