Ogni gruppo è dedicato a una tipologia di problemi: legati all’uso non terapeutico di sostanze psicoattive (compresi gli alcolici, per i quali del resto non esiste un consumo “terapeutico”), al lutto, a legami patologici con l’azzardo, internet, alle conseguenze di esiti di interventi chirurgici (donne operate al seno, portatori di stomie addominali…), ad alterazioni della salute mentale… perciò i membri condividono problemi simili.

Nel gruppo, spontaneo o artificiale, vanno in scena relazioni interpersonali articolate, plastiche; si sperimentano emozioni e sentimenti che in altri contesti stentano a emergere – oppure emergono incontrollate – si dà loro un nome, se prima non si era riusciti a nominarle. Così si conquista la possibilità di elaborarle, conviverci, utilizzarle.

Tutto passa attraverso ricorrenti narrazioni di sé, della propria storia, in cerca di una via d’uscita da problemi di vita, di salute, di relazione, della possibilità di un buon vivere nonostante. Inizialmente sembrano ripetitive, in realtà iniziano a riscrivere le identità, l’orizzonte di senso del vivere, lo sguardo verso il futuro.

Questi processi hanno bisogno di tempo per avviarsi e poi procedere, producendo cambiamenti di pensiero e di atteggiamento difficilmente quantificabili, misurabili, che hanno bisogno di tempo ulteriore per stabilizzarsi ed essere messi alla prova sul campo, nelle relazioni extra gruppo.

 Perciò la partecipazione si prolunga per mesi, spesso per anni. In prevalenza i gruppi sono aperti, per cui si assiste nel tempo alla partenza, al distacco di membri “anziani” che hanno maturato competenze e solidità sufficienti a procedere nella vita sciogliendo – a volte tagliando, in verità – il cordone ombelicale con il gruppo; nuovi membri si aggiungono, con i problemi ancora brucianti e taglienti. Si ha modo così, di misurare empiricamente come procede il proprio percorso, stimolati dal successo di chi esce.

Esiste un interesse, sia spontaneo che spintaneo a comunicare, perché le nostre vite migliorano quando escono dall’autoreferenzialità e si assumono la responsabilità di qualcuno o qualcosa che trascende la nostra individualità. Ianeselli, Avvenire 30/11/2024 E Seneca, Lettere a Lucilio: devi vivere per l’altro, se vuoi vivere per te stesso.

È questo pensiero che avvicina le persone un gruppo: trovare dei pari e custodire le loro ferite e la loro cura ferite, sentendosi custoditi parimenti dagli altri.  Non sempre i problemi si risolvono – elaborare il lutto non fa rivivere i cari defunti – ma si adegua la lettura che si dà del mondo e del suo significato. Soprattutto, si creano forti legami interpersonali persistenti per il resto della vita, anche dopo l’uscita dal gruppo. Si riscopre la bellezza di relazioni nutrienti che accompagnano nella traversata della vita.

I gruppi di mutuo aiuto sono esperienza di fraternità, con fatica costruita, vissuta, appresa, realizzata.

Luigi Colusso
Medico, psicoterapeuta, è stato direttore del dipartimento dipendenze per l’ULSS di Treviso, ha portato a Treviso i CAT, gruppi per le famiglie con problemi legati all’alcol. E’ stato presidente regionale e vicepresidente nazionale della loro associazione. Nel 1999 responsabile per l’Advar del servizio per l’elaborazione del lutto fino al 2020, promuovendone il coordinamento nazionale. Ha collaborato con la LILT Treviso al progetto Stella Polare per le donne operate al seno. Nel 2015 è stato tra i promotori del Tavolo provinciale per la prevenzione dei gesti suicidari. Formatore per varie istituzioni tra cui il Centro studi Erickson, ha collaborato con l’università Cattolica di Milano e Brescia, recentemente anche di una docenza per il master di psiconcologia della Cattolica di Roma, sede di Treviso. Le due opere principali più recenti edite da Erickson sono “Il colloquio con le persone in lutto” del 2012, e a fine 2020 “Di fronte all’inatteso. Per una cultura del cordoglio anticipatorio”.

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