Una fraternità effettiva – e affettiva – intuitivamente prevede una vicinanza fisica almeno ricorrente e una condivisione di un obiettivo di vita significativo, si protrae nel tempo e attraversa ostacoli successi e sconfitte, suscita emozioni non banali e legami profondi.
Con quante persone si può realizzare una stabile interazione di così intensa? Ha dei limiti, oltre i quali i legami divengono più lassi progressivamente. Come reti da pesca, più le maglie sono fitte – i legami interpersonali – più trattengono pesci e quanto altro fluttua nell’acqua, più sono distanti meno trattengono. La metafora aiuta a comprendere una difficoltà oggettiva alla realizzazione della fraternità universale.
Tentiamo un approccio differente. Partiamo dalle fraternità piccole, come quelle già esistenti dei gruppi di mutuo aiuto nelle loro varie versioni, formali o meno, come nodi da collegare tra loro – ecco il formarsi della rete – da incrociare con le reti formali, per esempio professionali, culturali, politiche… in modo da produrre una rete con maglie diverse sempre più strette, sempre con nodi piccoli, di grande tenuta ma non isolati.
L’essere parte di una rete valorizza e diffonde la fraternità, stimola una sana emulazione, così che ognuno sia motivatamente attratto da comportamenti fraterni e facilitato nel realizzarli con efficacia e soddisfazione.
Ogni nodo ha un libero spazio interno e uno esterno con una certa libertà di movimento, quanto basta per essere liberi ma senza confliggere con gli altri nodi e senza perdere la ricchezza di scambi con la rete tutta. Il legno storto di Kant già citato in precedenza trova giusto contenimento e valorizzazione della sua creatività.
La fraternità non è una utopia e se lo fosse, merita ugualmente di essere perseguita. La difficoltà ha suscitato molte ricerche in cerca di spiegazioni “razionali”, biologiche. Abbiamo strumenti e conoscenze e che offrono modelli di intervento, per incentivare la fraternità.
Ricordo Robin Dunbar, con studi comparativi del cranio e dei suoi contenuti dei mammiferi, uomo compreso, collegati alle dinamiche relazionali umane, per le quali suggeriscono limiti indicativi: con 5 si è davvero intimi; 15 per un gruppo efficace; 50 per la frequentazione abituale; con 150 c’è ancora una relazione significativa (la tribù?); 1500 i conoscenti (il paese, il quartiere).
Altre ricerche, in scia, propongono cifre simili.
Le neuroscienze comparano l’ingrandirsi di strutture cerebrali dalla scimmia ai primati fino all’uomo (il neopallio) con l’allargamento del gruppo sociale, che arriva nell’uomo appunto a 150.
Lo sviluppo delle comunicazioni, esaltato da internet, indica da tempo la necessità di ripensare questi limiti – ricordo la teoria dei sei gradi di separazione di Frigyes Karinthy, che prevede di collegare due persone che non si conoscono con al massimo cinque passaggi intermedi.
Questi cambiamenti in corso saranno utili per realizzare la fraternità universale?