Termina con la terza puntata il reportage di Christian Eccher dalla Bielorussia

Alla frontiera

L’attesa alla frontiera fra Bielorussia e Lituania è infinita. L’autobus di linea proveniente da Lida segue una corsia preferenziale e non deve rispettare la lunghissima fila di automobili in attesa di arrivare al punto di controllo passaporti. Una volta effettuate le formalità legate ai documenti, i doganieri lituani costringono i passeggeri ad aspettare per più di un’ora l’ispezione dei bagagli, che avviene con gli scanner a raggi X, come in aeroporto. Nessuno si lamenta, la gente è abituata a questo tipo di trattamento. A un certo punto, arriva un doganiere che fa segno di andare oltre. Questa volta non c’è nessuna ispezione, l’attesa è stata inutile ma, in ogni caso, umiliante.

Vilnius

            Dopo una breve corsa fra fitti boschi di abeti sulla strada a due corsie, all’improvviso compaiono dei capannoni industriali e un gruppo di case a un piano, strette fra loro; il traffico si fa più intenso e gli alberi lasciano il posto al cemento. È la periferia di Vilnius, la capitale della Lituania che, a causa della sua vicinanza con la Bielorussia, ospita molti fuoriusciti politici, gente fuggita dal proprio Paese dopo le repressioni del 2020. Allo stesso tempo, però, questa vicinanza è anche causa di vera e propria paranoia. Una signora polacca di ritorno da Lida, alla vista di un supermercato Lidl, esclama di essere finalmente tornata in Europa, e di esserci tornata intera. Alcuni passeggeri bielorussi e lituani ridono: la situazione nel Paese di Lukashenko è sì tesa, ogni tanto qualche straniero viene arrestato per motivi poco chiari, ma non c’è ragione di esagerare e di aver troppa paura. Il problema è che la propaganda è forte sia dall’una sia dall’altra parte e la mancanza di comunicazione e di rapporti diretti, soprattutto fra i giovani, a volte genera mostri.

Vilnius si presenta come una tranquilla città di provincia, non ancora avezza al ruolo di capitale. Pulita, ordinata e piacevole da ogni punto di vista. La retorica anti-russa è molto forte, non solo sui media, ma anche per le strade: ovunque sventolano bandiere ucraine e su un palazzo nuovo, al di là del fiume Neris, nel quartiere più recente della città, quello del business, campeggia uno striscione: “Putin, l’Aja ti aspetta”. Sul display elettronico degli autobus urbani si alternano le scritte che indicano la destinazione finale del mezzo e messaggi di sostegno all’Ucraina: “Vilnius loves Ukraine”. Quanto questo amore sia poi vero, quanto il sostegno sia concreto e utile agli ucraini, è difficile dirlo. Quel che è certo, è che la paura, non ingiustificata, che la Russia un giorno o l’altro attacchi è grande fra la popolazione; si parla spesso di guerra, nei bar, per strada e alla televisione, nessuno nomina la diplomazia. “Sono i russi e i loro servi bielorussi che non vogliono negoziare con noi”, mi dice una ragazza che cammina per la strada principale della città per mano al suo ragazzo. In Bielorussia, poche ore prima, un signore alla stazione degli autobus aveva accusato proprio lituani e polacchi di aver chiuso ogni canale diplomatico. Una situazione difficile e dolorosa, soprattutto per noi testardi che continuiamo a stare in mezzo al guado e a voler portare tutti di nuovo intorno a un tavolo per trovare un accordo. Magari proprio quel tavolo che, durante il comunismo, veniva disposto lungo la linea di frontiera e lungo il quale si sedevano i lavoratori polacchi e bielorussi per fraternizzare fra di loro.

La Chiesa ortodossa bielorussa di Lituania

            In un vicolo lungo e stretto del centro di Vilnius, al pianoterra di un palazzo antico, c’è un locale che, visto di fuori, potrebbe essere scambiato per un magazzino o un negozio. All’interno, invece, si trova una chiesa, composta da un crocefisso, un piccolo tavolo che funge da altare e delle icone. Ci sono anche una decina di sedie, poche perché non c’è spazio. In ogni caso, nella tradizione ortodossa, durante la funzione domenicale la gente sta principalmente in piedi. Il piccolo tempio appartiene alla Chiesa ortodossa bielorussa e a occuparsi di esso è padre Gheorghi, scappato dal proprio Paese nel 2023. Mi accoglie dopo la funzione religiosa nell’altra stanza del complesso ecclesiastico, separata dalla cappella da un lungo corridoio. Dopo la messa, i fedeli mangiano insieme affettati, formaggio e frutta fresca. Parlano fra loro e i bambini giocano allegri. “In Bielorussia mi considerano un terrorista”, dice padre Gheorghi con un sorriso amaro. Un terrorista per aver sostenuto le manifestazioni contro Lukashenko. “La Chiesa ortodossa bielorussa è ormai in mano ai preti fedeli a Lukashenko, per questo noi ci siamo separati e siamo una Chiesa autonoma, ufficialmente riconosciuta da Costantinopoli”. La Chiesa ortodossa bielorussa di Lituania. In esilio. Padre Gheorghi, un viso dal sorriso aperto e dalla barba ben curata, durante la settimana lavora, come tutti noi. La Chiesa si regge grazie ai contributi suoi e a quelli dei fedeli e lui non ha un compenso. “L’esperienza dell’esilio mi ha fatto capire molte cose. Sono tornato alle origini del Cristianesimo: siamo poveri, questa Chiesa vive di donazioni e offerte. Eppure siamo qui, preghiamo e ci aiutiamo a vicenda! Se c’è un funerale da celebrare, per esempio, ognuno di noi contribuisce alle spese – dice padre Gheorghi con soddisfazione – alla messa della domenica non vengono solo bielorussi, ma anche molti russi che vivono qui a Vilnius e che non vogliono più avere rapporti con la Chiesa ortodossa di Mosca”. Padre Gheorghi è molto preoccupato per la Bielorussia: “Il Paese è diviso. Temo davvero una guerra civile in futuro, quando Lukashenko lascerà il potere”.

            Saluto Padre Georgi e lascio la Chiesa. Il sole di Vilnius mi acceca, il vento soffia e alza al vento foglie secche e cartacce. A ovest fanno capolino le prime nubi e già nel pomeriggio il cielo diventerà plumbeo e la pioggia cadrà, senza sosta, fino a sera.


Se desiderate leggere gli altri due articoli del reportage di Christian Eccher:
Il primo articolo è stato pubblicato il 19/12/2024:
"Fra UE e Bielorussia: La nuova cortina di ferro"
Il secondo articolo è stato pubblicato il 23/12/2024:
"PINSK: Le due facce della medaglia"

Christian Eccher
Christian Eccher è nato a Basilea nel 1977. Si è laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ha anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. È professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero si dedica al giornalismo. Si occupa principalmente di geopoetica e i suoi reportage sono raccolti nei libri Vento di Terra: Miniature geopoetiche, Esimdé e Kàrhozat. In Serbia è collaboratore assiduo della rivista di opposizione Danas

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