Una visione radicalmente diversa della società e dell’economia in un ambiente più sano è possibile se gli ecologisti riescono a ricomporre il pensiero e l’azione in modo “olistico”.

Penso che il suolo sia,  per le sue valenze ecologiche multidisciplinari, il fattore ambientale da cui partire. Fermare, e non semplicemente contenere, lo sperpero della “risorsa delle risorse” renderebbe possibile una molteplicità di funzioni: avere la terra su cui piantare alberi nei centri urbani, rinaturalizzandoli e strutturandoli come degli ecosistemi (urbani), avere un serbatoio naturale per l’infiltrazione delle acque meteoriche, realizzare lo stoccaggio in modo naturale dei gas climalteranti, ripristinare ed estendere la biodiversità, praticare un’agricoltura biologica con rotazione delle colture, avendo più superfici per la messa a riposo dei terreni con lo scopo di  aumentare la loro fertilità e ridurre drasticamente l’uso di pesticidi, avere spazi sufficienti su cui far pascolare gli animali e mettere così fine alle emissioni climalteranti degli allevamenti intensivi, salvaguardare  la bellezza del paesaggio e della natura rispondendo così al nostro bisogno di “spiritualità”. Per dare forma ad una visione radicalmente diversa di futuro e a nuovi modi di fare economia e di creare posti di lavoro è necessario, a mio parere,  fermare  il consumo di suolo.

Ma, ahimè, la difesa del suolo non è parte prioritaria e centrale dell’elaborazione ecologista e tanto meno di una politica rivendicativa e legislativa  ambientalista.  Non stupisce che  tale  visione miope non appartenga all’attuale consumata nomenclatura partitica (di destra e  di sinistra), ma stupisce  che tale visione olistica non venga fatta propria dai verdi, i quali  danno prova di una certa timidezza politica  su temi centrali per realizzare una vera “transizione ecologica” come appunto il “consumo di suolo” o la “deforestazione in atto nei nostri boschi” grazie al  “Testo Unico in materie di Foreste e Filiere Forestali”.

I verdi, a mio avviso, da molto tempo ormai, navigano tra gli anfratti della sinistra più che per una visione radicalmente ed ecologicamente diversa del futuro per una contrapposizione ideologica ad una destra rozza e ignorante sui temi ambientali. Al parametro del PIL non sanno sottrarsi neanche i vertici di Legambiente quando acconsentono in modo aprioristico che si possa consumare suolo agricolo per ospitare grandi impianti fotovoltaici invece di utilizzare i tetti disponibili degli edifici, che in Italia, al netto di tutte le limitazioni logistiche, potrebbero garantire  una potenza fotovoltaica installabile compresa tra i 70 e i 92 GW  (Rapporto,Ispra 2023) e nello stesso tempo dare vita, attraverso le “comunità energetiche”, a forme di democrazia nella produzione di energia. Gli ecologisti dovrebbero posare uno “sguardo sovversivo” sulla narrazione narcotizzante e giustificazionista di una “declinazione monoculturale” dell’economia secondo il parametro del PIL: un ossimoro della transizione ecologica. 

Se non si lavora ad una efficace “contro-narrazione” sui temi ambientali, avendo al centro l’uso e il consumo di suolo,  si crea  un “vuoto  culturale” che diventa il terreno ideale per l’affermarsi di un pensiero unico  sul rapporto tra economia e ambiente. E’ quello che è accaduto a luglio del 2023 quando il governo, per far giungere in tempo la terza rata dei fondi europei ha stornato  dal PNRR,  con la risibile motivazione che  tali interventi sono irrealizzabili o non attuabili nei tempi previsti, ben  16 miliardi destinati a progetti per la gestione del rischio di alluvione, per la riduzione del rischio idrogeologico, per il potenziamento di servizi e infrastrutture sociali di comunità delle aree interne. Ma una visione radicalmente diversa del rapporto tra economia e ambiente, a partire dallo “stop al consumo della  risorsa delle risorse”, è possibile.

Pensiamo ai posti di lavoro che si potrebbero  creare in seguito allo stop del consumo di suolo e all’indotto economico nella  “manutenzione” del gigantesco patrimonio infrastrutturale, produttivo, commerciale e residenziale, un vero e proprio PNRRRR: (P)Piano (N)Nazionale per il (R)“Restauro” del già edificato e in disuso per un suo adattamento funzionale, per il (R)“Ripristino” di spazi di naturalità nei centri urbani  concepiti quest’ultimi come degli ecosistemi(urbani), per la  (R)“Riconversione” occupazionale e produttiva di aziende e lavoratori secondo i principi dell’economia circolare, per il (R)“Rammendo ecologico” nella difesa idraulico climatica, nella manutenzione costante e diffusa di tutte le grandi e piccole infrastrutture e nella “riattivazione socio-economica” delle  zone interne e delle terre alte che stanno subendo un processo di spopolamento e abbandono.

Una “visione radicalmente diversa” del rapporto tra economia e ambiente, a partire dallo stop al consumo della  risorsa delle risorse, servirebbe anche a dare spazio al valore della “creatività” nelle varie arti e professionalità artigianali e industriali, un valore confinato dal pensiero unico nell’aura dell’utopia.

Mattone dopo mattone si potrebbe partire  dal basso, dal cuore pulsante di quel “volontariato ambientale” proprio dell’associazionismo di base, per cercare di ricomporre in un quadro unitario le  frammentate battaglie ecologiste in cui una visione  radicalmente diversa   sul “futuro del suolo” fosse l’elemento unificante.

Ciò potrebbe servire anche a riscoprire il valore della “partecipazione politica” che l’affermarsi di un pensiero unico ha prepotentemente depotenziato e confinato nell’aura della rassegnazione (e dell’astensionismo). Partire dal basso potrebbe significare entrare e partecipare alle elezioni amministrative locali portando in quelle aule, oggi lontane anni luce  dai cittadini, le rivendicazioni per un territorio più sano e più attento ai valori dell’ecologia.

Dare vita quindi a delle “liste civiche ecologiste” intese come “nodi” di una “rete” in cui la singola battaglia ambientalista locale si salda ad una visione d’insieme per ottenere una legislazione  coraggiosa e determinata per una rigorosa difesa di “madre terra”.

Una rete ambientalista che non deve  assumere la forma partito, del “partito-chiesa” con l’obbligo di convergenza ideologica su tutti gli ambiti della cronaca politico-partitica, spesso distrattiva dalle  emergenze ambientali e sociali planetarie, ma essere in grado di condizionare la germinazione di un nuovo modo di fare politica partendo dal basso in una una simbiosi tra la “terra”, una risorsa che sappiamo solo calpestare e lo “spirito partecipativo delle comunità”, dove gli uomini possano declinare l’economia e l’uso delle risorse nel rispetto della vita e della salute delle persone, mutuando la “solidarietà” presente in natura (e sul suolo naturale) fra le diverse specie vegetali e animali.

La prima parte è stata pubblicata il 16/12/2024
Dante Schiavon
Laureato in Pedagogia. Ambientalista. Associato a SEQUS, (Sostenibilità, Equità, Solidarietà), un movimento politico, ecologista, culturale che si propone di superare l’incapacità della “classe partitica” di accettare il senso del “limite” nello sfruttamento delle risorse della terra e ritiene deleterio per il pianeta l’abbraccio mortale del mito della “crescita illimitata” che sta portando con se nuove e crescenti ingiustizie sociali e il superamento dei “confini planetari” per la sopravvivenza della terra. Preoccupato per la perdita irreversibile della risorsa delle risorse, il “suolo”, sede di importanti reazioni “bio-geo-chimiche che rendono possibili “essenziali cicli vitali” per la vita sulla terra, conduce da anni una battaglia solitaria invocando una “lotta ambientalista” che fermi il consumo di suolo in Veneto, la regione con la maggiore superficie di edifici rispetto al numero di abitanti: 147 m2/ab (Ispra 2022),

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