L’istituzione di un giorno ad essa dedicato, da un lato rivela che in un certo senso siamo giunti alla sindrome della riserva indiana, dall’altro che questo appuntamento può costituire davvero l’occasione per avviare una riflessione civica sul nostro passato e sulle colpe del fascismo e del nazismo.
Probabilmente molte testimonianze sugli orrori della deportazione e della Shoah sarebbero andate perdute senza quest’iniziativa assegnata al ricordo.
Senza contare l’impatto che questi temi hanno sulle giovani generazioni. Fin qui tutto bene, o quasi. Sarà forse casuale, ma mai come in questi ultimi anni si è assistito invece ad una rivalutazione pubblica dei regimi che si sono resi responsabili di quei crimini oppure ad un giudizio tanto indulgente nei confronti di quelle persone che si sono adoperate per arrivare alla “soluzione finale”.
Al di là delle affermazioni di pessimo gusto e al credito offerto continuamente alle tesi revisioniste, non è possibile che istituzioni, scuole e media si spendano in funzione del Giorno della Memoria, quando poi certi atti vanno in tutt’altra direzione, ad esempio con l’intitolazione di strade a gerarchi fascisti, la parificazione dei combattenti di Salò ai resistenti, il taglio di risorse ad associazioni ed enti che da decenni studiano questi argomenti.
Sono tutti episodi che dimostrano in maniera inequivocabile come il 27 gennaio si sia trasformato innanzitutto in una sorta di alibi politico, un modo per avere la coscienza pulita a poco prezzo.
Era poi scontato che le altre memorie chiedessero una loro giornata del ricordo e, in base ad una legittimazione (politica) reciproca, la ottenessero.
La domanda iniziale andrebbe dunque riformulata: Di quante memorie hanno bisogno gli italiani?
Probabilmente, e giustamente, più di una dal momento che le storie sono state diverse.
Però, se ognuno ha il diritto di avere la propria memoria, difenderla e celebrarla, nessuno si deve sentire autorizzato a porla sullo stesso piano storico delle altre.
Le vittime della Shoah sono cosa incomparabilmente diversa dalle vittime delle foibe.