Diamo notizia del report della polizia di stato, una analisi documentata e completa sul femminicidio: “Il pregiudizio e la violenza contro le donne”.
Pubblichiamo anche la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il pronunciamento di Paola Di Nicola Travaglini, giudice di Cassazione e consulente della commissione del Senato sui femminicidi
Dall’inizio dell’anno sono state uccise 104 donne.
71 di queste sono state uccise in ambito familiare e affettivo (-8%), 42 delle quali hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner (-19%).
Nei primi mesi del 2022 risulta altalenante l’andamento dei reati introdotti dal cosiddetto Codice rosso (L. 19 luglio 2019, n. 69), esaminati rispetto all’analogo periodo del 2021: crescono le violazioni dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (+12%) e le lesioni con deformazioni o sfregio permanente al viso (+17%), diminuiscono i reati di costrizione o induzione al matrimonio (-53%) e il revenge porn (-20%).
Un’analisi mirata è stata dedicata ai cosiddetti reati spia della violenza di genere, che sono quei delitti che rappresentano degli indicatori del fenomeno, come espressioni di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica contro una donna in quanto tale. Nei primi nove mesi del 2022 diminuiscono del 17% gli atti persecutori, cosiddetto stalking, reato che colpisce le donne nel 75% dei casi; diminuiscono dell’8% i maltrattamenti contro familiari e conviventi, che interessano le donne nell’81% dei casi; aumentano del 9% le violenze sessuali, che nel 92% dei casi hanno come vittime delle donne (di cui il 27% minorenni).
Dal sito si può scaricare il report. Ne pubblichiamo uno stralcio: La violenza di genere, così definita proprio per sottolinearne la natura strutturale, in quanto riflesso e conseguenza di quella asimmetria di status che contraddistingue, quando patologico, il rapporto tra uomini e donne, continua a rimanere in parte sommersa. Si tratta di un fenomeno complesso, che ha radici culturali antiche e che richiede, per essere portato alla luce e adeguatamente contrastato, una strategia globale ed una pluralità di interventi di natura diversa che spaziano dall’adozione di specifici strumenti normativi ad un mirata attività preventiva e repressiva delle forze di polizia, dall’impegno della magistratura all’apprestamento della tutela delle vittime da parte delle istituzioni pubbliche e della rete di associazioni,dalla sensibilizzazione degli operatori sanitari al coinvolgimento delle agenzie educative, prime fra tutte la famiglia e la scuola. Non a caso nei contesti internazionali si parla di obbligazione delle 5 P per rappresentare la complessità degli interventi: adozione di misure adeguate di prevenzione (to prevent), interruzione di ogni forma di violenza per proteggere la vittima (to protect), contrasto a qualsiasi forma di crimine (to punish), previsione di forme adeguate di risarcimento (to procure compensation) e, non ultima, la promozione di una cultura non discriminatoria per superare stereotipi e pregiudizi (to promote). Le donne con disabilità, analogamente ad altre donne che appartengono a categorie vulnerabili (minoranze etniche, nazionali, religiose e/o appartenenti alla comunità LGBTQI+) possono subire dunque forme di discriminazione multipla. in cui i vari fattori che originano diverse tipologie di discriminazione si sommano l’uno all’altro, rimanendo tuttavia distinti.
“Inazione dei giudici, nonostante la gravità delle denunce”
La Corte ha condannato l’Italia per inerzia delle sue autorità nel proteggere la ricorrente.
16 giugno 2022
Nel caso in questione la donna si era rivolta alla Corte affermando come le autorità italiane non avessero fatto il necessario per proteggerla, nonostante le ripetute denunce, lamentando la violazione degli artt. 3 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sotto il profilo della mancata protezione e assistenza da parte dello Stato italiano in un contesto di violenza domestica.
E’ il quinto caso di condanna in cinque anni
Silvia De Giorgi si rivolse al tribunale di Padova e sporse ben 7 denunce tra il 2015 e il 2019, dopo aver subito violenze fisiche, psicologiche, economiche e minacce. Le indagini pendono ancora a distanza di 7 anni mentre la segnalazione fatta dai servizi sociali sulla violenza assistita subita dai bambini non ha avuto alcun seguito.
Palermo 8 ottobre 2022Paola Di Nicola Travaglini, giudice di Cassazione e consulente della commissione del Senato sui femminicidi, analizza il verdetto di Palermo che ha ridotto a 19 anni la condanna all’ergastolo dell’uomo che ha ucciso Ana Maria Lacramioara Di Piazza: ” “Nella magistratura c’è un problema culturale e di competenze, dobbiamo smaltire le scorie del delitto d’onore”. https://www.repubblica.it/cronaca/2022/10/08/news/femminicidi_sentenze-369129948
1930 Codice Rocco: vengono riconosciute le circostanze attenuanti e la pena ridotta a marito, padre, fratello della donna uccisa nel caso in cui l’autore lo faccia per difendere “l’onor suo o della famiglia”. Disposizioni abolite nel 1981 /
Appare evidente la discrepanza tra pronunciamenti pubblici e ciò che avviene nei tribunali. Una costante nei modi di agire e nelle sentenze, per cui le donne sono oggetto di una vittimizzazione secondaria.
Una questione culturale? Non solo.
Analizzare i dati una volta l’anno, illuminare di rosso palazzo Madama e palazzo Chigi con l’elenco dei nomi delle donne uccise non basta. E’ necessaria una capillare formazione/informazione che contrasti la cultura misogina per individuare gli stereotipi di genere, che in alcuni casi sono fatti propri dalle donne stesse e che si esprimono a vari livelli: dalle manifestazioni più evidenti a quelle più sottili.
Che dire di una presidente del consiglio che pretende di farsi chiamare “Il Presidente”? L’autorevolezza passa per definirsi al maschile? O le dichiarazioni della ministra Roccella? “L’aborto non è un diritto”? O la possibilità per le donne di andare in pensione anticipatamente se si hanno più figli? (Quindi diopatriafamiglia donna=madre)?
Dai dati emerge, però, nonostante le difficoltà di natura culturale e politica, che passi in avanti ne sono stati fatti: un numero sempre maggiore di donne denuncia, grazie all’azione di divulgazione e sensibilizzazione sia dei centri antiviolenza sia dei gruppi di donne presenti nel territorio sia delle associazioni e della scuola.
Condividiamo l’analisi della polizia di stato ma ci aspettiamo azioni concrete.
Per uscire da una situazione di violenza domestica due sono le condizioni indispensabili, una volta che le donne hanno deciso di denunciare il violento e di allontanarsene: autonomia economica e abitativa.
In questo senso ricordiamo il D.P.C.M. del 1° giugno 2022 in cui sono stati definiti i criteri per la ripartizione delle risorse, pari a 9 milioni di euro, destinate a finanziare la misura del Reddito di libertà finalizzata a favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza e in condizione di povertà, con riguardo in particolare all’autonomia abitativa e al percorso scolastico e formativo dei figli/delle figlie minori.
Ma sono 20.000 le donne che ancora non sono autonome dal punto di vista economico.
E rifacendoci a quanto pubblicato dalla polizia di stato in cui si fa cenno alla promozione di una cultura non discriminatoria per superare stereotipi e pregiudizi, appare evidente che l’educazione al rispetto delle differenze di genere deve partire dalla scuola attraverso una azione coordinata fra ministero, associazioni, consultori. Indispensabili anche corsi di formazione per chi raccoglie le denunce: polizia, prefettura tribunali.
Le pronunce della corte europea ne indicano l’urgenza.
Ricordiamo che ilDiario pubblica in prima pagina “Guerra alle donne” bollettino della violenza quotidiana che invitiamo a leggere.