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Nelle ore prima di mezzanotte del 31 dicembre e subito dopo, centinaia di milioni di esseri umani si sono augurati un “buon anno”.

Lo facciamo da anni, perché è un rito profondo che si nutre certamente di ingenuità e retorica ma anche di dense correnti di speranza. Dal cuore sono usciti auspici, suggerimenti, promesse. In sostanza, una grande ondata di energia emotiva che prova a proiettare sul futuro qualche forza capace di modificarlo.

Senza voler tornare indietro con gli anni, bisogna riconoscere che cotanto impegno, in questi ultimi, non ha prodotto esiti apprezzabili.

Verrebbe quasi da credere che augurarsi “buon anno” non funzioni.  Si potrebbe dire che non basta, poiché l’auspicio potrebbe avere il raggio d’azione debole a causa dell’effimera durata dello spumante stappato.

Eppure, le centinaia di milioni di esseri umani beneauguranti sono gli stessi che poi vivono l’anno su cui poggiano i piedi. Dove nasce l’inefficacia (o la debolezza) se dovrebbe essere sufficiente la coerenza rispetto a quello scambio di positività manifestato allo scoccare della mezzanotte?

Rimane un mistero. Un po’ ricorda i quattro-cinque milioni di argentini che a Buenos Aires si sono adunati per festeggiare, legittimamente, la vittoria ai mondiali, in un paese con il 100% di inflazione annua, ai quali non è passato per la mente di rimanere lì e usare quell’immane forza per far pressione sui loro governanti, perché qualcosa cambiasse.  Mistero di una specie intelligente.

Forse bisognerebbe pensare a un modo diverso di augurarsi “buon anno”.

Per esempio, potremmo darci dei parametri di come procedano le cose nel corso dell’anno, così da capire in che modo (e quanto) ciò che facciamo nel presente agirà sul prossimo anno. 

Nel 2022 l’Earth Overshoot Day è stato il 28 luglio, cioè nei primi sette mesi dell’anno abbiamo consumato il flusso di risorse che si sono prodotte nell’intero anno.  Sono aumentate le morti sul lavoro (+ 32% rispetto il 2021) e gli infortuni lavorativi (+ 38,7% rispetto al 2021).

Pare essere costante il numero dei femminicidi e già questo è un pessimo dato.

Insomma, il 31 dicembre non era poi così scontato che si potesse augurare “buon anno”, viste le premesse. Se usassimo alcuni indicatori, disponibili per chiunque li voglia vedere, la fine di ogni anno ci indurrebbe a qualche riflessione.

Ma non è così.  A dispetto delle centinaia di milioni di persone, connesse con le lancette che scandiscono il passaggio d’anno, rimane un istante soggettivo: il movimento caotico di milioni di molecole che si disperdono, come il vapore nell’aria.

Non è certo un planetario momento di coscienza. Per quella, dicono i grandi difensori del botto di mezzanotte, c’è tempo. Tutto l’anno. E così sia, dunque.

Che l’augurio di “buon anno” cada su di noi come una benedizione o una compensazione, istantanea, per quegli inciampi del vivere che ci tormentano e che, per fortuna, un “buon anno” ben detto può farci dimenticare.  

Il tempo d’un fuoco d’artificio…

Fulvio Ervas
Fulvio è nato nell’entroterra veneziano qualche decina di anni fa. Ha gli occhi molto azzurri e li usa davvero per guardare: ama le particelle elementari, i frutti selvatici e tutti gli animali. Si laurea in Scienze Agrarie con un’inquietante tesi sulla “Salvaguardia della mucca Burlina”. Insegna scienze naturali e nelle ore libere tre campi magnetici lo contendono: i funghi da cercare, l’orto da coltivare, le storie da raccontare. Nel 1999 ha vinto il premio Calvino ex aequo con Paola Mastrocoda. Da allora ha pubblicato moltissimi libri tra i quali “Tu non tacere”, “Follia docente”, “Nonnitudine”, gli otto che hanno per protagonista l’ispettore Stucky da cui è stato tratto il film “Finché c’è prosecco c’è speranza” interpretato da Giuseppe Battiston e “Se ti abbraccio non aver paura” che ha vinto numerosi premi ed ha ispirato, nel 2019, il film di Gabriele Salvatores “Tutto il mio folle amore”.

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