Non è difficile cogliere il criterio principale che guida la scelta dei testi all’interno della mostra e, nella loro completezza, del catalogo: affiancare alla dimensione religiosa dell’Annunciazione una visione laica che non si contrapponga frontalmente alla presenza del divino, ma sia disposta a riconoscere uno spazio per il senso del sacro. Con le parole di un filosofo, Nicola Chiaromonte, il sacro è il sentimento di essere parte di un tutto che non si conosce. Di fronte al sacro, scrive Chiaroroonte, “non bisogna aspettarsi risposte né soluzioni: solo altre domande, e assai più tormentose di quelle che oggi ci tormentano.” Sacro, quindi, come recupero di quella regione oscura e irrazionale che si sottrae alla nostra capacità conoscitiva. Un sacro che resiste, si scontra, si contrappone alla secolarizzazione che ha accompagnato il venir meno delle religioni storiche e, con loro, dell’orizzonte di senso delle società. Invece di una religione umana, laica in senso forte, come l’avevano immaginata gli umanisti, i filosofi, gli artisti, ci troviamo di fronte a una nuova forma di superstizione. Ben venga dunque una mostra che riporta l’attenzione su un “fatto” decisivo per il Cristianesimo come l’Annunciazione della nascita di Gesù:con tutto il suo carico di attese e speranze di rinnovamento palingenetico, ha spinto anche artisti e pensatori laici a fare i conti con le tematiche sacre, il mistero della vita e quella cosa “tutto urlo e furore” chiamata Storia (e che in questi tempi rivela una volta di più il suo volto feroce e tragico in grado di travolgere ogni speranza per un tempo migliore).
Vale la pena riprendere le parole del poeta Andrea Zanzotto: “Il sacro non viene distrutto dalla società e arte contemporanea ma passa alle spalle, si interra. Sussiste nell’oscurità, si sfa in una legione-miriade di meschini, chitinosi fatui demoni, tanto più capaci di ledere quanto meno presenti a una coscienza che crede di aver tutto dominato e demistificato. Il sacro, (il limite), bisogna averlo davanti agli occhi, anche col pericolo di rimanere abbagliati, bisogna lottare contro di esso per vincerlo ed essere uniti insieme.”
Sarà più chiaro, allora, perché il titolo della mostra, “Ovunque nasca e cresca la vita”, sia tratto da un articolo dello scrittore sovieticoVassilij Grossman dedicato alla Madonna Sistina di Raffaello (restituita dall’URSS alla pinacoteca di Dresda nel 1955) nel quale si esalta soprattutto l’umanità della Madonna, “anima e specchio dell’uomo”, immagine del cuore materno: “per questo la sua bellezza è intrecciata, fusa in eterno con la bellezza che si cela – profonda e indistruttibile – ovunque nasca e cresca la vita – nelle cantine e nei solai, nei palazzi e nelle topaie.”
Quasi per una fatale attrazione, a seguire il testo di Grossman, alcune poesie di Pier Paolo Pasolini, in cui la maternità appare come mistero e bellezza, miracolo laico frutto di una Grazia insondabile. Di sé, Pasolini diceva in una famosa lettera scritta a don Giovanni Rossi, durante le riprese del Vangelo secondo Matteo: “Sono bloccato in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere. Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti nella vita o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio”.
Alle poesie di Pasolini, segue poi l’intenso estratto di Giovanni Testori, altro autore “eretico”, in cui campeggia il tema dell’incarnazione: “amata e cara carne […] così cara, carissima anzi, / così amata, amatissima anzi, / che l’ha scelta, l’ha voluta, / l’ha cercata, l’ha abbracciata”, recitano i versi dell’Interrogatorio a Maria, a sottolineare l’umanità di Cristo, in quello che potrebbe sembrare un riverbero dell’eresia nestoriana, quando invece si tratta, con più probabilità, di una sensibilità moderna, disposta a esaltare la dimensione terrena del Cristo e di Maria.
Segue una scelta di testi più strettamente correlati al tema religioso: il Vangelo di San Luca, un acuto commento di Massimo Cacciari sul tema dell’ombra e della luce, il racconto dell’Annunciazione come compare in due Vangeli apocrifi, Vangeli a cui si è ispirato Fabrizio De André per l’album La buona novella, da cui proviene la canzone Il sogno di Maria, delicato ritratto di una giovinetta a cui l’angelo parla “come quando si prega / ed alla fine di ogni preghiera / contava una vertebra sulla mia schiena.” Ma per quanto le parole dell’angelo rimangano un ricordo incerto nella sua mente, alla stregua di sogno, restano però “impresse nel ventre”.
Dante Alighieri è un altro autore imprescindibile quando si parla di Maria, e due sono i brani, entrambi presi dal Paradiso, canti XXXII e XXXIII: nel primo campeggia l’arcangelo Gabriele, colui che portò l’annuncio a Maria, un angelo così innamorato di questa donna “che par di foco”.Nel secondo, la preghiera di Bernardo di Chiaravalle concilia “antinomie con la sobria follia degli evangelisti e la palpitazione degli innologi” (così il critico Vittorio Sermonti) ed esalta la figura di questa giovinetta che ha nobilitato l’umana natura, nel cui ventre si ripristinò il patto d’amore tra Dio e il genere umano.
Le poesie di Clemente Rebora, David Maria Turoldo, Rainer Maria Rilke e Wistan Auden sono quanto di più vicino a vere e proprie preghiere, a cui si aggiunge un brano di Mario Luzi, poeta quanti altri mai sensibile alla dimensione religiosa: Il viaggio terrestre e celeste di Simone Martini – pittore del Trecento senese noto per una struggente e preziosa Annunciazione – è l’occasione per il poeta di celebrare lo splendore e l’angoscia della realtà, una celebrazione che riesce a cogliere il seme che genera la vita e l’insondabile maestà del cosmo, lo scorrere del tempo e la vertigine dell’eternità.
A chiusura di questa ideale seconda sezione, un testo di Roberto Calasso che porta la nostra attenzione su un dettaglio dell’Annunciazione: la presenza del libro tra le mani di Maria quando l’angelo la visita. Scrive Calasso: “Più che evocarlo, la Vergine teme il futuro […] Di questo è fatta la storia: di momenti affilati, che lasciano una cicatrice.”
Il testo di Calasso, con la sua attenzione al tema del tempo, è un ideale ponte con l’ultima parte dell’antologia, in cui il tema dell’Annunciazione viene declinato in quanto promessa e attesa. Il primo brano èla famosa Quarta eclogadi Virgilio, in cui si celebra la speranzaper l’avvento di un pueraeternus, un fanciullo divino che riporterà l’età dell’oro sulla terra, testimonianza di una aspirazione tutta umana a un’epoca rinnovata e pacificata. I testi di Giovanni Giudici raccontano invece di un’attesa che sfinisce, di una promessa che sembra delusa, in cui ci si chiede “se illusioni / siano le antiche speranze di salvezza”, nella consapevolezza che “il nostro domani era già ieri da sempre”. Fanno eco i versi di Thomas Stearns Eliot dalla raccolta I quattro quartetti, dove la tensione tra il tempo storico e l’eternità – che nell’Annunciazione cristiana ha trovato una sintesi paradossale – si mostra nella sua antinomia impossibile da sciogliere: “Il tempo passato e il tempo futuro / Ciò che poteva essere e ciò che è stato / Tendono a un solo fine, che è sempre presente”.
L’attesa, dunque, assume una dimensione esistenziale in cui immanenza e trascendenza, umano e divino, eternità e storia, trovano una loro paradossale sintesi proprio nel mistero e nella promessa dell’Angelo a Maria. L’esperienza umana, allora, pur frammentaria e incerta, acquista la forma di un’espiazione purgatoria le alimentata dalla luce della speranza cristiana, nell’attesa di un rinnovamento totale, di un riscatto che sciolga tutte le antinomie della storia e le tensioni irrisolte per superare lo scacco e il naufragio esistenziale.