Molti si infastidiscono, altri ritengono che la pubblicità sia una centrale per offuscare le nostre coscienze e plasmarci, come fossimo di creta.
In realtà, la pubblicità è lo specchio di quello che siamo, divisi per target, stili di vita, più ancora stili di pensiero.
Ogni spot che passa per i canali televisivi o social, è frutto di accuratissime indagini sui nostri comportamenti, desideri e/o impulsi, e sui trend rilevati i pubblicitari ci lavorano e ci rappresentano.
Ci sono due spot che ondeggiano in questo periodo e che valgono come lampante dimostrazione.
Il primo presenta una coppia con piglio giovanile, di mezza età, che si accomoda su un divano con un sorriso armonioso. E cosa fanno questi due esseri umani? Accompagnati da una voce fuori campo “hai mai provato a guardare una finestra?” mirano appunto una finestra, solo e soltanto la finestra, priva di sfondi, di esterni, estasiati ed entusiasti. E sorridono, gioiscono e si meravigliano nel mirare unicamente la finestra.
Viene subito da pensare trattarsi di uno spot demenziale, ebete, un’assurdità allo stato puro.
Eppure, in questo caso, il creativo ha estremizzato l’annuncio non solo per aumentare la risibile visibilità del proprio spot, ma anche perché consapevole (o perché qualcuno glielo avrà fatto presente) che siamo malati di prodotti, di involucri, riversiamo la nostra affettività sull’oggetto, non più nel soggetto. “È il consumo, bellezza” direbbe Humphrey Bogart.
Il secondo presenta Elisabetta Canalis pro San Benedetto. Lo spot ricalca la banalità degli anni 90, l’epoca dei paninari, procede per immagini, illusioni e frasi stereotipate tipo: “ma quanto buona è!”.
Perché la coppia creativa ripropone questa sceneggiatura consunta, trita e ritrita? Per mancanza di idee? No, proprio no. La riporta a galla perché segue i social, la tendenza dell’ego super a mostrarsi nel modo più stucchevole, e senza pudore, pur di farsi vedere. Ed Elisabetta Canalis è l’onda lunga di questa autolatria rinata sul finire del secondo millennio, ne è una perfetta rappresentazione.
Aggiungiamoci le/gli influencer (a questo siamo arrivati!) che sui social calamitano l’attenzione di milioni di persone e forse chiudiamo il cerchio: stiamo vivendo non solo l’epoca del pensiero debole, ma una fase storica caratterizzata in prevalenza dal vuoto interiore, dall’assenza di cultura e di pensiero. E la pubblicità, di questa situazione, è lo specchio più fedele.
Un andamento, purtroppo, che trasversalmente si manifesta in tutti i campi, anche nella politica.
Dunque, “c’è grande confusione sotto il cielo” direbbe Mao Zedong, ma, per quanto ci riguarda, non ci pare che la situazione sia ottima.
Sai Lucio: io ormai da molti anni seguo una regola: la pubblicità va guardata e ascoltata (non vista e sentita) proprio per capire a chi e come si rivolge e poter fare un’analisi critica della sua comunicazione. Solo un0analisi critica può arrivare ad una qualche consapevolezza e, conseguentemente, a forme di resistenza (passiva magari ma pur sempre resistenza!)