A tutti noi capita di associare un libro alla sua copertina, magari quella della prima volta che l’abbiamo letto oppure quella di un’edizione che ha un significato speciale solo nostro.

Questo rapporto di identificazione è un fatto che si può dire nasce con l’editoria del tardo Novecento.

Prima i volumi erano rilegati in cuoio o in cartone, con rivestimenti monocromi e il valore tipografico del volume veniva dato dalla qualità della stampa mentre le illustrazioni restavano rigorosamente all’interno.

Alla metà del secolo scorso, soprattutto con l’introduzione delle collane economiche, si è avuta invece una vera e propria rivoluzione: tramontata la vecchia concezione che considerava la grafica applicata come manifestazione al limite dell’artistico e secondarie le sue varie espressioni  rispetto ad altre arti “più nobili”, si è affermata l’idea secondo cui quello che conta essenzialmente è ciò che l’opera, anche nel suo aspetto esteriore, riesce a comunicare creando emozioni. In una società dominata dall’immagine riprodotta e dalla riproducibilità dell’opera d’arte, come insegna Walter Benjamin, l’illustrazione ha assunto finalmente un ruolo centrale nella produzione culturale e di conseguenza anche nella grafica editoriale. Sono così diventati importanti gli artisti chiamati ad realizzare le copertine dei libri e tra questi un posto di primo piano spetta senza ombra di dubbio a Ferenc Pintér (1931-2008) unanimemente considerato uno dei maggiori illustratori europei.

Nato ad Alassio nel 1931 da un pittore ungherese e da madre italiana, nel 1940 si trasferisce a Budapest ma dopo pochi anni rimane orfano di padre. Per dare un aiuto economico alla famiglia il giovane Ferenc inizia a frequentare gli ambienti della grafica magiara più all’avanguardia facendosi subito notare per l’indubbio talento. Sono questi importanti anni di formazione ma la sua libertà di espressione non risulta conforme ai rigidi dettami del regime comunista che respinge per ben tre volte la sua domanda di iscrizione all’Accademia di Belle Arti di Budapest. Così, dopo la rivolta del 1956 e l’arrivo dei carri armati sovietici, Pintér approda in Italia.

Appena giunto a Milano, ottiene come primo lavoro la realizzazione di un gigantesco murale per la Radio Marelli e nei tre anni successivi continua a realizzare manifesti pubblicitari per importanti aziende italiane finché, nel 1960, avvia una collaborazione con la Mondadori che sarebbe durata ben 32 anni. Inizia con la collana Segretissimo, della quale realizza le prime 14 copertine, ma è nella collana degli Oscar (poi in quella degli Omnibus) che produce veri e propri capolavori.

Racconta il curatore delle sue opere Santo Alligo: 

“È incaricato di disegnare le copertine della prima serie di Maigret, che hanno una gabbia fissa occupata sempre dalla figura di Maigret/Gino Cervi in piano americano e da un piccolo elemento figurativo, annegati in accesi fondi a colori primari. A questa prima serie, dove Pintér sfrutta anche la porosità del cartoncino per “rendere” il tessuto delle giacche del commissario, ne seguirà una seconda, quella degli Oscar, più libera e articolata, apprezzata dallo stesso Georges Simenon.
In oltre settanta copertine si dispiega tutto il magistero dell’artista ungherese: il modello del commissario di questa nuova serie è ancora Gino Cervi (Simenon diceva che Cervi era stato, insieme a Jean Gabin, il miglior Maigret), e non poteva essere altrimenti. Ogni copertina di Maigret sorprende per l’idea, per il taglio grafico e per la realizzazione tecnica, che alterna le tempere al pennino, le fotografie acidate e poi dipinte, fino al pennarello la cui stesura non uniforme dà modo a Pintér di sperimentare innovative soluzioni formali. Settanta copertine! Non si può raccontarle tutte. Mai un cedimento, mai una ripetizione, mai una banalità; una lunga convivenza che porterà Pintér ad essere una sorta di alter ego figurativo di Simenon.
Ma non sono solo gli “Oscar” maigretiani a dar soddisfazione a Pintér e piacere a chi li acquista. Altre serie fondamentali sono quelle che realizza per i romanzi di Cesare Pavese e di Grazia Deledda. Il compagno, Prima che il gallo canti, La luna e i falò, Paesi tuoi e La bella estate, solo per citarne qualcuna, prima ancora di essere copertine indovinate e affabulatorie, sono brani di grande pittura. L’artista rende qui magistralmente la materia, come gli avevano insegnato il padre prima, la scuola poi: il fasciame di una barca, la paglia di una sedia, un tronco marcito, il manto di un cavallo, la terra arata i cui solchi sono “resi” raschiando con una lametta la spessa tempera non ancora asciutta. Così come Pintér dipinge, come se lo conoscesse profondamente, il mondo contadino di Pavese, così “ferma” il mondo rurale sardo della Deledda in altrettante memorabili copertine: La madre, Cenere (una croce, netta su fondo bianco, è formata dalla salma e dalle due figure in preghiera), Canne al vento, Elias Portolu. La stanza dove appare il protagonista di quest’ultimo romanzo, con la coppola calata sugli occhi e la sigaretta in mano, è arredata da un vecchio cassettone annerito dal fumo, sormontato da uno specchio inclinato in avanti, da una bacinella e da una brocca di latta smaltata di bianco, con i bordi filettati di blu: mobili e oggetti “poveri” esaltati dal pennello di Pintérche con piccole, abilissime sfumature ne restituisce magistralmente, e quasi fotograficamente, le forme.”

Artista completo, le sue illustrazioni, comprese quelle pubblicitarie, propongono una strabiliante varietà di tecniche compositive e di soluzioni espressive, eppure risultano subito riconoscibili per lo stile inimitabile e per l’uso di forme e colori, ma soprattutto per l’approccio comunicativo dell’immagine. Questo “illustratore perfetto”, come lo chiamavano tutti i suoi colleghi, ci ha lasciato migliaia di copertine di libri, manifesti e pubblicità realizzati dagli anni ’60 fino al 2008, anno della sua scomparsa: capolavori che restano parte indelebile della storia dell’illustrazione nonché bagaglio culturale e visivo di almeno due generazioni.

E a questo punto ci viene spontanea una proposta: perché non proporre al Brolo di Mogliano Veneto una retrospettiva delle opere di Ferenc Pintér al quale dobbiamo un universo di immagini indimenticabili, molte delle quali sicuramente presenti nella libreria di ciascuno di noi (andatele a cercare). Passiamo la palla, o meglio la matita, a chi di dovere e aspettiamo fiduciosi.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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