Scroscio violento di pioggia. Solo? Macchè, scravasso è rumore, è il cielo che precipita, ci sono i toni e le saete, sono dei minuti in cui cambia il mondo. “Me so negà fin ae mudande” e in ogni caso “so stonfo”.
L’estate è anche questo, l’ira meteorologica che si scatena, la grandine diventa “tempesta”, il temporale “doregan”. L’elettricità “me ze vegnuo i penoti” trasforma il fine pomeriggio in una sorta di dramma, colori lividi, accelerazioni da “sera e finestre” o “curi drento”. Arriva una buriana, un vento che “scoverze i cuerti”, vola via ogni cosa. Variante: na brentana. Sguardo al cielo minaccioso: “el riva dal Garda” e tutti al riparo, tanto el dura poco.
Poi le “pissine” sulla strada e magari dopo occhieggia anche un arcobaleno beffardo tra le nubi stinte. Morale lucida: “el ga netà fora tutto”.
Cerchiamo di essere leggeri e ignoriamo tutte le estremità e gli spigoli del cambiamento climatico e celebriamo la repentinità del(dello?) scravasso. Dipingiamo l’espressionismo del temporale con il poeta veneto Pascuto “i toni sgorla i veri /e saete stira el ciel /sgionfo de piova”.
Mesteghi ricordiamo “e disgrasie” come quella di Bonisiolo dove un fulmine provocò la morte di cinque persone. Durante il temporale me lo raccontava mia mamma da ceo tanto per tranquillizzarmi e lei invece pregava “…e San Simon libereme da sto ton, Santa Barbara benedeta libereme da sta saeta…”.
Poi siamo diventati grandi e sono arrivate le scolastiche “piovigginando sale o la pioggia nel pineto” ma erano piovete e non veri scravassi. Da imparare a memoria però.
Ultima metafora, realistica non meteo, “me so ciapà na scravassada de paroe”.
E con questa ci salutiamo, la rubrica volge al termine. L’estate sta finendo, vi ricordate i Righeira? Io li confondo con quei due che scrivevano t’amo sulla sabbia, comunque è solo un arrivederci “Se sentimo pì vanti tosi”