Come si discute tra amici? Normalmente si è francamente sinceri e si manifestano le idee liberamente anche se si mantiene come elemento condiviso il rispetto.

Poi i nodi di contrasto o le tensioni possono esservi ma divengono “normali” se legati agli atteggiamenti ed ai caratteri di ciascuno.

Ma cosa c’entra questa affermazione con quel che voglio dire?

Molto.

Infatti, su una serie di vicende perlopiù internazionali sempre più spesso è difficile trovare un modo di relazionarsi: o tutto è bianco o tutto è nero.

Di conseguenza chi afferma una posizione o è con noi o è contro di noi.

Non si lascia spazio alle mediazioni e a volte, ed è ancora peggio, ciò che si dice provoca dure definizioni che non lasciano terreno al colloquio.

Le tematiche in oggetto sono quelle della guerra tra Russia e Ucraina, da una parte, e degli scontri tra Israele e Hamas a Gaza fino a giungere alle realtà di oggi in Libano e non solo.

Andiamo per ordine.

Abbiamo approvato ogni tipo di sostegno all’Ucraina.

Soldi, cibo, ospitalità, armi e così via.

Una cosa non siamo riusciti a fare.

Non siamo riusciti a portare avanti una proposta ed un movimento per la pace.

E quando oggi Zelensky dice che nel 2025 la guerra potrebbe fermarsi guardiamo speranzosi ma in fondo ci sentiamo in qualche modo estranei a ciò che accade.

Come dire: è tutto nelle mani di pochi attori, noi possiamo solo stare a guardare.

Eppure tutto ci indica in realtà una cosa precisa: non vi sarà una risoluzione militare del conflitto.

E tutti quelli che avevano detto che bisognava combattere la Russia fino alla vittoria o quelli che ipotizzavano un ritorno al passato senza lo “Stato” Ucraina sono smentiti e messi a tacere.

Ed allora la pace deve iniziare ad essere terreno di discussione vera.

Il “cessate il fuoco” appare la frase più rilevante per fermare morti e drammi che sempre di meno hanno senso.

Lo scrive il Papa e lo ricordano molti eminenti personaggi della sinistra italiana.

Attenzione, precisiamo una cosa per non lasciare spazio alle maldicenze.

Si è condannata la Russia per l’invasione fin dal primo giorno.

Ora però non ha più senso il silenzio sulle opportunità di pace.

E parlare di Israele è ancor più difficile e faticoso.

Ho visto i drammi del popolo israeliano fin dalla mia prima fase della vita politica di tanti anni fa, quando dirigevo i giovani comunisti del Veneto, la FGCI.

E non posso dimenticare la mia fatica a comprendere questa “unità” concreta e solidale che nella Comunità faceva stare insieme i ragazzi e le ragazze che poi io vedevo nella politica.

In quella situazione mi resi conto del senso drammatico del “passato” per un mondo così importante e protagonista della vita di una città.

Ed è evidente che ciò divenne sempre più problematico da quando, verso il termine degli anni Sessanta, il mio partito di allora, il PCI, scelse di guardare con rispetto e appoggio alla causa palestinese.

Crede sul serio Israele che sia possibile distruggere gli odi e le minacce ai suoi confini semplicemente con gli sforzi militari e bellici?

Mi pare impossibile proprio guardando alla storia.

Per me è stato naturale essere a fianco della Comunità Ebraica in tante occasioni ma in particolare nel festeggiare ogni sviluppo di pace.

Ed ho sempre condiviso la linea del Partito Democratico che racconta come non vi sia alcuna speranza senza guardare alla prospettiva concreta di realizzazione di due Stati sovrani.

Israele e Palestina.

Due popoli, due Stati.

Ed è stato immediato l’orrore per i massacri compiuti da Hamas, per le torture e per gli ostaggi.

Quindi, quando si parla di Israele, da parte mia, nessun atteggiamento pilatesco, nessuna falsa coscienza, nessuna omissione.

Ora il mio pensiero colmo di rispetto del passato antico e recente non può e non vuole far finta di nulla di fronte alle decine di migliaia di morti a Gaza e ai drammi della popolazione palestinese.

E di questo il governo di Israele porta una enorme responsabilità.

E guai a noi se lasciassimo il fuoco ardere nel Medio Oriente con la speranza che le divisioni nel mondo arabo aiutino.

Crede sul serio il governo Israeliano che sia possibile distruggere gli odi e le minacce ai suoi confini semplicemente con gli sforzi militari e bellici?

E non riflettono le loro autorità sulla solitudine internazionale che sul Sole 24 Ore Ugo Tramballi chiama “La ferita profonda che isola Israele dal Mondo”?

So bene il peso del dramma degli assassinii di Hamas, da una parte e dall’altra la sensazione vera di un antisemitismo di ritorno così come molti amici ebrei segnalano scrivendo le loro note.

Ma è fondamentale che tutti capiscano che non sarà una ulteriore guerra ad aver ragione del futuro.

Anche qui non è chiaro che una lotta per la pace è fortemente necessaria?

Qui è subito, fatta di aiuti umanitari ad un popolo martoriato, quello palestinese, e di iniziative di pace come quella che già prima indicavo.

Stando naturalmente lontani dalle follie di quei mondi estremisti che chiamano il 7 ottobre, anniversario della strage condotta da Hamas, come una data di partenza per il loro futuro.

E anche qui appare evidente che è fondamentale il “cessate il fuoco”.

Come si fa a non capire che non esistono altre strade, altre prospettive?

Chiudo con quanto dicevo all’inizio.

Non possiamo aspettare, non dobbiamo far finta di nulla.

E Venezia è una città che può, se vuole, creare mille occasioni per parlare di pace.

Si ringrazia la redazione della testata giornalistica “ytali.com” per averci concesso di riproporre l’articolo su “ILDIARIOonline”
Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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