Nella lettura dei giornali e nell’ascolto delle televisioni occorre fare molta attenzione a quella che da sempre è chiamata ed interpretata come “propaganda”.

Penso che non siano in molti ad essere esenti da questa malattia infettiva.

E credo sia così non per sfiducia.

Penso due cose.

Che in guerra le “fonti” siano “naturalmente” molto marcate, ed ovviamente definite, e che il “clima” in cui si vive e lavora conti molto e sia capace di indurre comportamenti e pensieri non sempre spontanei.

Aggiungo poi che ormai la comunicazione, quella fatta con veline, notizie montate ad arte, vere e proprie falsità o, per altro verso, costruita tramite sottili silenzi e racconti distorti sia un vero e proprio strumento di guerra.

Per questo ritengo che sia utile valutare con attenzione ciò che è accaduto a Kazan ai nuovi BRICS.

L’ospite era un ricercato, un condannato all’immediato arresto se scoperto.

E non da un tribunale qualunque.

Dalla Corte penale internazionale e per crimini di guerra.

Ed allora si può pensare che fosse ovvio che molti avessero deciso di non partecipare o per sdegno morale o per attenzione verso chi vede, chi guarda e potrebbe rimproverare queste amicizie così pericolose.

Ed a Kazan invece erano in tanti.

L’India con Narendra Modi, la Cina con il leader Xi Jinping, il Sudafrica con il suo presidente Cyril Ramaphosa.

Ed ancora il leader turco Erdoğan e tanti altri fino al segretario generale dell’ONU, António Guterres.

In sostanza tutti i Paesi componenti i BRICS erano presenti (Brasile, Cina, India, Russia, Sudafrica, Egitto, Etiopia, Emirati arabi uniti e Iran) e moltissimi altri pure: da quelli che richiedevano di entrare a quelli che volevano assistere.

I dati russi non smentiti dicono di 22 capi di stato e di 36 nazioni partecipanti.

Non occorre ritornare sulla “dimensione” dei BRICS: 45 per cento della popolazione mondiale e 35 per cento del PIL del mondo.

Ma è utile segnalare una differenza da altre “associazioni” o “unioni” tra Paesi: i BRICS non si occupano di “valori”, di metodi di governo, di dimensioni di libertà.

Si occupano di economia, professano la necessità della fine del “dominio occidentale del dollaro”.

E di tutto quello che può essere utile in questa logica.

È la loro ragione dello stare insieme.

Ma perché cito tutto ciò?

Ho la sensazione leggendo i giornali italiani (non tutti in verità) che si cerchi un modo fallimentare per contrapporsi a Putin.

Insomma che si usi la propaganda e non la testa.

Infatti il senso comune dei “pezzi” che ho letto insiste solo su un punto: a Kazan ‘tutta scena e niente contenuti’.

Riflettiamo. Se Putin fosse riuscito a chiamare 36 nazioni e moltissimi capi di stato ad incontrarsi a Kazan sul “nulla” e a garantirgli così uno “spettacolo in mondovisione” sarebbe un genio.

Del “male” naturalmente. Ma un genio.

Io credo che questa sia una visione superficiale e disattenta della realtà.

Credo che ogni Paese che ha partecipato abbia messo sulla bilancia da una parte la problematicità comunicativa dell’approccio con il presidente della Russia e dall’altra la positività sia degli scambi economici con quel Paese che del senso e dell’opportunità dei BRICS.

Ed abbia scelto di esserci. Ed allora se dalle nostre parti vogliamo avere una politica internazionale seria e credibile non possiamo non cogliere quello che rappresenta Kazan.

Certo un successo diplomatico e di immagine per Putin.

Non vi è dubbio ma ora mi interessa piuttosto capire perché nei nostri media e nelle valutazioni politiche spesso ci limitiamo a non ammetterlo o a negarlo con quell’ironia, che ho descritto, sui risultati.

La realtà è che questo atteggiamento negazionista sui BRICS che l’Occidente conduce o lascia trasparire favorisce e premia proprio Putin.

Non possiamo infatti non ricordare i sentimenti assai diffusi nei Paesi emergenti, in quelli in via di sviluppo e nelle nuove “potenze” d’Area per l’Occidente.

Sono sentimenti espressi con naturalezza proprio da Lula, il presidente del Brasile, che ha detto una semplice cosa: “Perché dovremmo fidarci di voi che avete avuto gli stessi atteggiamenti della Russia in Libia, in Iraq, in Afghanistan?”

E che ricorda che ogni notte si domanda: “Perché ogni transizione economica di tutti i paesi del mondo va costruita proprio in dollari favorendo quindi gli Stati Uniti?”

Da ciò la mia reazione che osteggia la propaganda che sento divenire realtà.

Non si affronta Putin in maniera così superficiale o basandosi solo sul nostro senso e concetto della “democrazia”.

Putin ha colto il punto debole dell’Occidente che propone solo il “buon antico” dell’economia e della politica, il già visto e già provato o peggio subìto.

Questa nostra linea d’azione sono convinto sia a rischio e possa essere battuta.

È infatti sostanzialmente perdente e soprattutto getta nell’abbraccio dei BRICS tutti i Paesi che hanno motivo di temere l’invadenza e il predominio pacifico o militare occidentale.

E mi chiedo di conseguenza: possiamo essere noi europei solo una “massa di manovra” degli Stati Uniti?

Non è ora e tempo che si guardi a nuove regole e relazioni che modifichino “l’ordine mondiale” così come è stato costruito?

Non è il caso di divenire attrattori in modo nuovo per i mondi che oggi ci osteggiano?

Io ho in testa una Europa forte di valori e riconoscibilità, capace di dare prospettive concrete di sviluppo e idealità radicate di pensiero.

È la scommessa del futuro, del prossimo futuro. 

E non credo vi siano altre strade per essere sul serio alternativi alla politica che a Kazan sta mostrando un “altro” futuro possibile.

Si ringrazia la redazione della testata giornalistica “ytali.com” per averci concesso di riproporre l’articolo su “ILDIARIOonline”

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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