Intervista a Fiorenzo Davanzo, sindaco di Marcon dal 1992 al 2002, sull’evoluzione del Comune dalla sua elezione fino ad oggi, con uno sguardo verso il futuro.
- Come descriverebbe il suo ruolo da sindaco e le principali iniziative che ha portato a termine?
Come un servizio che ho fatto alla comunità dove sono nato, dove sono nati i miei genitori, nonni e bisnonni. Un servizio anche al mio pensiero politico, alle mie idee, cercando di dare il meglio con le capacità che mi ritrovo. Ho cercato di dare una mano alla crescita, allo sviluppo, alla democrazia ed alla partecipazione in questo territorio.
Quello che vedete di Marcon è nato con quella che possiamo davvero considerare la prima amministrazione di sinistra di questo territorio, un lavoro collettivo, quindi non attribuibile solo al sottoscritto, ma alla coalizione.
Le cose più importanti che abbiamo fatto non sono il centro culturale De André, i chilometri di piste ciclabili, il Palazzetto dello Sport, gli impianti sportivi con la pista di atletica e quelli di Gaggio e San Liberale, che eppure abbiamo fatto. Potrei parlare anche del sistema delle reti fognarie, rifatto completamente, dell’aggancio all’autostrada, della caserma dei Carabinieri, della stazione ferroviaria di Porta Est (dove mancano ancora i treni perché la regione non li ha acquistati), ma no, non è tutto questo.
La cosa che più mi ha gratificato è stato un CD che si chiamava Erodoto a Marcon, che ha ripercorso la storia di questo Comune. Questo perché il Comune ha vissuto grandi trasformazioni e se non si conosce la sua storia non si può pensare di governarlo. La seconda cosa importante, quando eravamo agli albori e cominciavamo ad avere un certo numero di migranti che arrivavano a Marcon, abbiamo organizzato dei corsi di alfabetizzazione alla lingua italiana. È stata una bella esperienza di integrazione. Un’altra cosa alla quale io tengo è stato il progetto con i giovani sulla strada. Avevamo riscontrato una serie di problemi legati alle tossicodipendenze con anche alcuni fatti gravi (qualche ragazzo è deceduto per overdose). Abbiamo assunto alcuni psicologi che hanno lavorato e sono andati a recuperare isolando magari i “capetti” dei vari gruppetti motivandoli a fare altre cose, portandoli in biblioteca, a fare sport, ai musei a Venezia. Così abbiamo tentato di arginare un fenomeno che per un certo periodo era diventato davvero preoccupante.
Mettevamo le persone prima, ad esempio, dei marciapiedi rotti. Volevamo fare in modo che, ad esempio, tutti quanti coloro che hanno avuto delle disabilità potessero partecipare alla vita pubblica. Abbiamo abbattuto le barriere architettoniche in tutti gli edifici pubblici.
- Com’era Marcon all’inizio della sua attività e che cambiamenti ha visto durante i suoi mandati?
Marcon aveva vissuto un periodo di sviluppo intensissimo negli anni ’70-’80 con un piano di fabbricazione molto elastico che aveva portato ad un’attività edilizia molto spinta. Quindi si era urbanizzata in modo disorganico, con fognature miste, senza servizi e collegamenti. Poi ci fu il piano regolatore generale, contro il quale la nostra opposizione in consiglio votò contro, ma che indubbiamente dava delle grandi risposte. Noi siamo uno degli unici due comuni in italia che hanno fatto fare gli studi preliminari del piano regolare ad un’università (lo IUAV di Venezia nel nostro caso). In consiglio comunale venne il rettore a presentare il progetto. Noi abbiamo tentato di mettere insieme il tutto con la variante generale, che dalla regione è arrivata approvata con lode in quanto “progetto di alto valore scientifico”, abbassando i volumi preesistenti del piano regolatore.
Era un comune che stava subendo una trasformazione. Ci furono diversi ragionamenti sullo sviluppo economico come la fabbrica sotto ad ogni campanile, le zone industriali, le zone per attività economiche varie ed il distretto commercio.
C’era uno sviluppo economico che stava partendo in modo disorganico, senza servizi per le imprese. Abbiamo istituito consorzi fra le aziende e siamo partiti con un’attività edilizia importante. Ci fu un salto demografico che era il più alto del Veneto.
Questa attività portò Marcon ad avere uno standard di servizi, dai trasporti alla nettezza urbana, alla differenziata con una gradualità di passaggi successivi. Furono organizzate anche molte attività culturali, perché un comune che ha subito un così grande incremento demografico aveva bisogno di creare una nuova identità comunitaria.
- È soddisfatto del lavoro che siete riusciti a compiere nel periodo 1992-2002? Com’era il Comune alla fine dei suoi mandati?
A volte si sente dire: “Ah quelli di prima non ho fatto niente”. Certo, non è mica stato fatto tutto, ma c’era un problema anche di risorse. Quando siamo arrivati le giunte di destra ci avevano lasciato debiti fuori bilancio che abbiamo scoperto aprendo i cassetti e tirando fuori le fatture. Lì ci fu una scelta importante: quella di non chiedere il dissesto. Il debito complessivo quantificato era tre volte il bilancio ordinario del Comune. Noi abbiamo accettato la sfida di risanare. Ci abbiamo messo i primi tre o quattro anni, ma ci siamo riusciti a risanare senza aumentare le tariffe e, anzi, diminuendole. Usavamo lo slogan “pagare tutti per pagare meno”, che siamo usciti a far rispettare diminuendo del 10% la tassa asporto rifiuti.
- Com’è Marcon oggi?
La destra oggi, non solo in italia, ma anche a Marcon, naviga a gonfie vele. Parla alla pancia dei cittadini e fa aggregazione in un modo ben diverso da quello che applicavamo noi. Hanno fatto delle cose, perché non si può dire che non abbiano fatto delle cose. Hanno avuto la fortuna di trovarsi sette milioni di avanzo che l’amministrazione precedente non era mai riuscita a spendere. A questo si è aggiunto lo sblocco del patto di stabilità assieme ai fondi del PNRR. Queste sono risorse per fare, ad esempio, il nuovo asilo nido. Non potranno però assumere personale quindi saranno costretti a darlo in gestione esterna con costi elevati. Anche noi avevamo convenzioni con i privati e pagavamo come comune fino a un certo parte della retta dei bambini per aiutare le famiglie. Hanno fatto delle opere che bisognerà saper gestire. Gli ultimi interventi implicano grandi progetti, grandi costi, grandi immobili sovradimensionati rispetto al bisogno. Sono cose che ritengo comunque necessarie. Io, ad esempio, non avrei avuto il coraggio di fare il municipio, perché è un’opera che genera l’idea che sistemi i tuoi uffici e poi lasci tutte le altre cose a se stesse.
- Se dovesse suggerire una vera priorità per i cittadini, su cosa dovrebbero concentrarsi nel territorio?
Oggi credo che l’emergenza principale sia legata alla salute. Noi siamo riusciti a costruire il distretto di viale San Marco, un progetto che allora l’ULSS invece voleva smantellare. Oggi però, quegli ambulatori sono stati svuotati, e mancano servizi essenziali come il consultorio familiare e il ginecologo, che in passato erano un punto di riferimento non solo per la nostra città, ma anche per i comuni vicini.
Anche qui a Marcon dicono che sarà costruita una casa di comunità, ma i tempi stringono: tutto deve essere rendicontato entro il 2026, quindi speriamo che vengano concesse delle proroghe. Siamo comunque davanti a un’esigenza concreta: ripristinare i servizi socio-sanitari che già esistevano e che, nel post-COVID, sono stati ulteriormente compromessi.
Il COVID, infatti, ha profondamente cambiato il sistema sanitario, alterando il rapporto tra pazienti e medici di base. Ricordo periodi in cui era quasi impossibile prendere la linea per prenotare una visita; questo ha aumentato le frustrazioni dei cittadini e ha spinto molti verso strutture private. Per chi non può permettersele, la situazione è difficile e causa tensioni, spesso rivolte proprio verso chi è in prima linea, come i medici di base o del pronto soccorso. Allora io credo che l’amministrazione oggi abbia il dovere di impegnarsi a ricostruire il dialogo tra cittadini e servizi sanitari in modo da abbassare le pressioni, dato che abbiamo gente competente e preparata. Bisogna riportare i servizi che avevamo; nessuno ci ha regalato il distretto sanitario o la caserma dei carabinieri, sono stati il risultato di anni di sforzi e sacrifici.