Trecento anni fa lo Zero fu oggetto di una ispezione per verificare il corretto utilizzo degli otto mulini distribuiti lungo il suo corso. Questa è la cronaca di quella memorabile spedizione ripresa dal resoconto dei protagonisti.
Nei territori della Serenissima per secoli i fiumi sono stati vie di comunicazione e importanti fonti di energia per l’economia tanto che dal loro fluire dipendevano in modo diretto o indiretto moltissime famiglie. Per questo il rispetto delle loro acque e delle loro rive risultavano una priorità assoluta giustamente difesa dalla severissima legislazione del tempo. Una priorità che nei tempi moderni si è man mano affievolita se non perduta del tutto per lasciare il posto alla errata convinzione che la salute dei corsi d’acqua, piccoli o grandi, non sia poi così importante rispetto ad altri interessi. I recenti disastri in Emilia-Romagna (secondo anno di seguito) e a Valencia, pur trovando la loro origine dalle pesanti e indiscutibili modificazioni dell’equilibrio climatico derivate dall’attività umana, insegnano che un’attenta amministrazione del territorio è ormai fondamentale per attenuare gli effetti di un clima fuori controllo. Un illuminante esempio di quanto in passato la gestione delle acque interne fosse prioritaria per il bene comune rispetto a qualsiasi interesse privato ci viene dagli sterminati archivi veneziani.
Il 17 marzo 1707 le autorità di Mestre si rivolgevano “con occhi pieni d’amarissime lagrime” al doge Alvise II° Mocenigo per segnalare la disastrosa situazione del Terraglio e della strada Noalese a seguito del dissesto provocato dalle ripetute esondazioni dei fiumi Zero, Dese e Marzenego che compromettevano il transito delle mercanzie provenienti dalla “nazione Alemanna”. Un transito dal quale dipendevano “numerose famiglie d’osti, carrari, favari, bolzeri (valigiai), barcaroli, facchini ed altri mercenari, i quali tutti, queste cessando, dovrebbero perire miseramente di fame, resi inabili a contribuire alle pubbliche gravezze (imposte) o cercar altrove raminghi e dispersi il modo al proprio sostentamento col lasciare desolata e abbandonata la loro Patria, non senza rimarcabile disavantaggio dei pubblici dazi”. Gli accenni ai mancati introiti fiscali e daziari ebbero un effetto immediato presso la Dominante perché già il 29 aprile 1707 i Savi ed Esecutori del Magistrato alla Acque, dopo aver individuato nelle opere abusive presso i mulini distribuiti lungo il corso dei tre fiumi la causa dei continui allagamenti e dei conseguenti ”precipizi incontrati da carri, carrozze e sedie”(carrozze leggere), con una delibera del 5 maggio incaricarono l’esecutore Anzolo Foscarini di intraprendere una accurata ispezione volta a far rispettare con estremo rigore la legislazione esistente fin dal 1533. Foscarini predispose allora una commissione che comprendeva il notaio Giulio Rompiasio (al quale dobbiamo il dettagliato resoconto degli eventi), i proti (periti) Anzolo Gornizai ed Andrea Tiralli oltre a diversi inservienti.
Dal 10 al 13 maggio 1707 ebbe luogo la visita agli otto mulini situati lungo il corso dello Zero (tutti costruiti dopo il 1530 e quindi soggetti alla legislazione del 1656-57) e la cosa straordinaria fu che questo viaggio fu effettuato navigando navigando lungo il fiume, cosa oggi estremamente difficile.
Innanzitutto, Foscarini si portò alle sorgenti dello Zero presso Levada constatando che il fiume riceveva acqua dal Sile attraverso un canale di collegamento detto Zeron o Ghebon. In caso di carenza d’acqua i mulini dello Zero potevano giovarsi dell’acqua proveniente dal Sile ma, di contro, le acque in eccesso del fiume di Treviso si spandevano liberamente allagando le campagne circostanti con la conseguenza di compromettere la viabilità lungo la strada regia del Terraglio. A dir poco problematica dal punto di vista della corretta gestione, poi, era la situazione dei mulini. Il primo, ad una ruota, appartenente ai Gradenigo e gestito da Benetto Pattaro, presentava gravi irregolarità nelle dimensioni delle bove bastarde (paratoie mobili in legno, minori rispetto alla bova principale, per regolare il flusso d’acqua al mulino) per cui venne ordinato al mugnaio di provvedere entro otto giorni a regolarizzare le dimensione delle bove e tagliare la vegetazione fluviale sia a monte che a valle del mulino al fine di favorire il regolare deflusso del fiume.
Si proseguì poi il viaggio verso il secondo mulino a due ruote di Sant’Alberto, gestito in affitto da Santo Biasibetto, rilevando nell’alveo una grande quantità di erba e molti salici, alberi e pali che ostacolavano il corso del fiume oltre a scoprire ben dieci grandi fossi dai quali l’acqua scorreva liberamente per i campi e le strade inferiori scendendo inevitabilmente verso il Terraglio. Foscarini obbligò il meriga (capo villaggio) di Morgano, Filippo Marazatto, a rimettere a posto la situazione eliminando gli ostacoli lungo il corso del fiume e arginando i fossi mentre al mugnaio impose di abbassare le portelle delle bove e “nel termine di giorni otto segar l’erba di sopra e di sotto l’alveo del suo molino come gli spetta”.
Il terzo mulino a due ruote si trovava sempre a Sant’Alberto nei pressi della chiesa ed era gestito dai fratelli Anzolo e Tomio Gallinari e anche qui venne ordinato l’abbassamento delle portelle delle bove e il taglio delle erbe nell’alveo.
Prima di arrivare al quarto mulino a due ruote, quello di Ca’ Grimani a Zero Branco, Foscarini e i suoi uomini scoprirono davanti a palazzo di Ca’ Rubini un “boccariol di legno”(scarico) totalmente abusivo che prendeva acqua dallo Zero convogliandola nei fossi, rischiando di allagare i terreni circostanti. Naturalmente venne emesso un mandato penale al meriga di Zero, Tomio Zago, affinché eliminasse quanto prima l’apertura di scarico mentre per quanto riguarda il mulino, gestito da Piero Pezzato, partì l’ordine immediato di ridurre le portelle e di tagliare le erbe nell’alveo.
Si proseguì poi la navigazione fino a Campo Croce (sic) per raggiungere il mulino a due ruote appartenente al medico Francesco Brachi e gestito da Benetto Bonesso. In questo caso venne riscontrata la presenza di uno “stramazzo in pietra cotta” (opera di sbarramento per frenare il flusso) fuori norma. In questo caso, considerata la difficoltà tecnica di rimettere a posto le cose Foscarini impose solo la regolazione delle tre bove e il taglio delle erbe “con riserva di regolare poi opportunamente lo stramazzo come occorresse”.
A Mogliano, “appresso il Terraglio” si trovava il sesto mulino a due ruote, anch’esso appartenente a Francesco Brachi e gestito da Santo Pezzato, che venne trovato nelle medesime condizioni di quello precedente. Date le disposizioni del caso Foscarini ispezionò poi accuratamente la situazione idraulica lungo il la strada regia, punto nodale della sua ispezione, riscontrando una molteplicità di fossi e scoli non arginati che finivano nel Dese verso Marocco oltre a varie diversioni dello stesso Zero. La sua conclusione fu che bisognava arginare i fossi ma soprattutto innalzare il Terraglio per diverse centinaia di pertiche (antica misura uguale al passo) se si volevano evitare i continui allagamenti. La mattina del 12 maggio 1707 la spedizione raggiunse il mulino a due ruote di Ca’ Priuli nel comune di Marcon tenuto in affitto da Menego Biasibetti. Qui oltre alle solite bove fuori misura, il corretto flusso dell’acqua veniva impedito da “lini e canevi” illegalmente posti a macerare nell’alveo, da un ponte semi diroccato a monte del mulino, da quattro fossi che prendevano l’acqua dallo Zero e come se non bastasse da un cedimento degli argini “sotto Moggian nei beni delle Monache di S. Teonisto di Treviso”. Sanzionati a dovere i responsabili di questa incresciosa situazione, si raggiunse infine il mulino a tre ruote di Bonisiolo gestito da Antonio Galletto e appartenente alle Monache di Santa Caterina, l’ultimo ad essere stato costruito lungo lo Zero nell’anno 1678. Qui gli ispettori richiesero solo la rimozione dei molti pali nell’acqua ma non ritennero di rilasciare alcun ulteriore ordine visto che le misure erano tutto sommato in regola. Il 13 maggio vennero mandati ai vari meriga gli ordini ufficiali per l’esecuzione degli adeguamenti di legge nei vari mulini e spedita alla Magistratura veneziana la relazione di quanto rilevato durante il viaggio. Dopodiché Angelo Foscarini e i suoi assistenti si trasferirono a Noale da dove, il 15 maggio, iniziarono l’ispezione sul fiume Marzenego e successivamente quella sul Dese.
Nota bibliografica
Fondamentale per la storia degli interventi veneziani su Sile, Zero, Dese e Marzenego tra XVI e XVIII secolo resta:
Giorgio Zoccoletto - I QUATTRO FIUMI - Centro Studi Storici di Mestre- Provincia di Venezia - 2005
Interessante.
Grazie di questo contributo molto interessante…