Nei nostri boschi capita di leggere cartelli “Vendesi bosco”.
Nel leggere questi cartelli non posso non andare con il pensiero all’articolo 42 della Costituzione: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento, i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale”.
E non posso non trasalire al pensiero che il 66,4% dei boschi italiani è di proprietà privata e solo il 33,2% è di proprietà pubblica (demani civici inclusi).
Ecco il tema: per garantire la “funzione sociale” dei nostri boschi quali limiti impone la legge? Quali controlli vengono esercitati dai servizi forestali regionali sul rispetto delle autorizzazioni e delle dichiarazioni di taglio?
Una ricerca a livello nazionale del Gruppo di Intervento Giuridico, pur incompleta (mancano i dati di alcune regioni), nel triennio 2020-2022 ha registrato 1122 notizie di reato e 14737 illeciti amministrativi nella gestione dei boschi.
Questo accade anche perché non ci sono più i controlli sul territorio del Corpo Forestale dello Stato che 40 anni fa monitorava la regolarità dei tagli.
Se la funzione sociale del taglio degli alberi viene intesa come funzione prevalentemente economica (creazione di lavoro e di reddito) significa non aver capito nulla del periodo geo-climatico che stiamo vivendo e si finisce, inevitabilmente, per giustificare la “concezione produttivistica” nella gestione dei boschi contenuta nel “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali” (Decreto legislativo n. 34/2018).
Si finisce per giustificare anche il recente Decreto Legge n.104 del 10 agosto 2023 che esenta dall’obbligo di preventiva autorizzazione i tagli dei boschi su cui c’è un “vincolo paesaggistico”, in totale contraddizione con l’art. 9 della Costituzione che “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”: è completamente scomparsa la “funzione geo-climatica” dei boschi (per il sequestro del carbonio, per il dissesto idrogeologico, per ciclo dell’acqua, per il contenimento dei processi erosivi, ecc.).
Guardando i dati reali sul presunto aumento dei nostri boschi è evidente come ad aumentare sia l’occupazione di aree agricole o pascoli in abbandono da parte di arbusti e di giovani piante, ma sono i “boschi maturi” di cui abbiamo più bisogno.
Ad aumentare sono le utilizzazioni forestali senza controllo, gli incendi, le infestazioni del bostrico successive agli abbattimenti operati da Vaia, le schiantate sempre più frequenti ad opera del vento, un’ininterrotta antropizzazione turistica, selvicolturale, sportiva (olimpica!!!!) e infrastrutturale.
C’è bisogno quindi di una “visione radicalmente diversa” per applicare, nel tempo dei cambiamenti climatici, un “paradigma naturalistico conservativo su basi scientifiche” e con una visione economica di largo respiro e nel lungo termine mantenendo e ampliando i “servizi di regolazione termoclimatica, idrologica e idrogeologica” del bosco.
Per applicare tale paradigma scientifico ed ecologico è necessario puntare all’aumento dei boschi maturi per mantenere e ampliare la gamma dei servizi ecosistemici e prevedere i “servizi di approvvigionamento” che possano anche soddisfare il bisogno di “legno d’opera”, ma che non compromettano i servizi di regolazione termoclimatica, idrologica e idrogeologica e di conservazione della biodiversità del sottobosco.
Quindi: no ai boschi a ceduo, ai tagli a raso, no alla legna come “combustibile principale” se non nelle località di montagna e di collina tradizionalmente legate al bosco e si all’ampliamento delle “foreste vetuste”, alla potenziale espansione dei boschi a fustaia (con tagli selettivi anche se più onerosi rispetto ad una selvicoltura industriale).
Ed è per questo che l’articolo 12 del Regolamento UE sul “ripristino della natura”, recentemente entrato in vigore, indica come necessario il rispetto di alcuni indicatori per gli “ecosistemi forestali” allo scopo di rafforzarne la biodiversità.
Treviso 13 11 2024 – Grazie di questo contributo…