Ho riflettuto a fondo, prima di comporre questo articolo. Le parole pesano, assumono un significato diverso in relazione a chi le riceve: possono essere distorte, anche ad arte, come avviene spesso in questi anni di botta e risposta istintive. Continua a risuonarmi nella mente l’epiteto, pronunciato come un anatema terribile e con la bocca distorta dal disgusto: comunisti! La parola, sparata da sgradevoli leader del momento, inchioda al muro e marca una distanza, in modo inequivocabile. Vorrebbe suscitare rigetto e finanche vergogna in chi ne venga trafitto.
Giusto qualche caso, per restringere la narrazione: furono bollati da “comunisti!” i giudici che tentavano di arginare la corruzione all’epoca del padre nobile Berlusconi. Proprio lui fu, tra i primi, a demonizzare ostentatamente il significato dell’aggettivo, come fanno spesso gli uomini della destra americana, anche se lui era buon compagno di avventure di quel Vladimir Putin, ex dirigente del KGB sovietico assurto ai vertici russi e padre, decisamente padrone, del suo illimitato governo.
E comunisti! sono ancora i nostri giudici in questi mesi che, armati di costituzione antifascista e codici sacrosanti, provano ad evitare un uso del potere governativo discriminatorio, tutelando i diritti inalienabili dei naufraghi. Comunisti! sono i giornalisti d’inchiesta. Sono comunisti anche certi sindacalisti che ogni giorno si battono per riavere quei miglioramenti conquistati a suo tempo a caro prezzo con lo Statuto dei Lavoratori e che pian piano vengono smantellati, senza che la gente abbia la lucidità di scandalizzarsi abbastanza da intraprendere una pacifica ma determinata rivoluzione sociale (si potrà usare questa definizione, senza conseguenze?) e riprendersi quanto gli è stato sottratto. Quisquilie? Non parliamo di cose astratte, ma di stipendi erosi, di precariato perenne e giovani famiglie senza discendenza, di sanità pubblica azzoppata…
Io lo ammetto: comunista in senso stretto non lo sono mai stato, ma rivendico con fierezza l’atmosfera e lo spirito con cui, in altri tempi vicini ma apparentemente lontanissimi nella memoria collettiva, al termine veniva associato con rispetto un sentimento di libertà dalla schiavitù del bisogno, di tutela dei deboli, di pacifismo ecumenico.
Gli ignoranti, o quelli in malafede, non accettano che in nome di un comunismo (o socialismo genuino) il presidente cileno Allende tentasse di sottrarre il proprio popolo da un destino di colonialismo e di estrema povertà, pagando con la vita questo ardire. Di essere comunista fu tacciata persino la Teologia della Liberazione che sollecitava il Cristianesimo ad intraprendere un attivismo pratico su questa terra, contro i soprusi perpetrati verso gli ultimi: un esempio per tutti l’arcivesovo brasiliano Helder Camara. Oppure parliamo di Oscar Romero di San Salvador, ammazzato brutalmente per le sue idee di riscatto dei poveri dagli sgherri del governo della Giunta Militare, profondamente cristiani per asserzione politica, mentre celebrava messa. Correva l’anno 1980, cioè ieri.
L’Italia sfasciata, anche moralmente, nel becero ventennio fascista aveva trovato proprio nei comunisti nostrani un’opposizione irriducibile: non voglio dilungarmi a parlare dei partigiani, che ebbero fedi politiche eterogenee, ma molti dei quali furono espressione di formazioni dichiaratamente comuniste.
Esempi di civiltà democratica, di cui si fregiarono i comunisti, sono innumerevoli. Nel 1948, in un’Italia livorosa e desiderosa di vendetta, fu proprio Palmiro Togliatti segretario del Partito comunista, dal suo letto d’ospedale al Policlinico di Roma dove era ricoverato dopo aver subito un attentato, che riuscì a frenare le masse popolari inferocite: chiedevano vendetta a furor di scioperi e minacciavano una cruenta rivoluzione che avrebbe devastato il Paese appena uscito dalla guerra.
Agli smemorati che vogliono assimilare il Partito comunista italiano all’infausto regime sovietico, o cinese, ricordo che la sua pasta è stata radicalmente diversa: Berlinguer e i suoi compagni forgiarono l’Eurocomunismo, avversando in modo esplicito la politica dell’URSS di L. Brežnev.
Esso affermava il principio della realizzazione di una società socialista nei paesi a capitalismo avanzato, attraverso la progressiva attuazione di riforme economiche e sociali, rispettando le regole previste dalle democrazie parlamentari. Berlinguer inaugurò una stagione di speranze, ipotizzava finalmente di collegare le migliori forze del Paese, comprese quelle di area cattolica, per indirizzarle ad un futuro di progresso. Il tutto fu spezzato dall’omicidio Moro e dalle forze degenerate delle Brigate Rosse: anche qui il Partito comunista italiano prese ufficialmente le distanze, sconfessò quelle azioni intollerabili; gli uomini del partito comunista – spesso incompresi – furono drastici oppositori della frangia eversiva sanguinaria. Meno netti appaiono oggi, in un dico e non dico evanescente, i distinguo dalle proprie radici infette di certi epigoni del movimento fascista.
Accadono episodi sconcertanti. Così un’insegnante veneziana, che ama la sua città fragile e teme per l’inquinamento e lo scuotimento prodotto dal passaggio a bassa quota delle Frecce tricolori, viene censurata con tanto di interrogazione parlamentare, se osa esprimere in modo esplicito il proprio dissenso con una battuta colorata: un’innocua “Frecce di m…a”. Attenti a come si parla! Le parate militari non si discutono: Jawohl! E un insegnante, reo di aver espresso un’opinione critica sull’ideologia del ministro dell’Istruzione (e del merito) Valditara ha ricevuto una sanzione pesantissima, con dimezzamento dello stipendio e la sospensione dal servizio: vietato dissentire dai i superiori gerarchici. Jawohl!
Nella macina della Storia vengono mischiate le ragioni e i torti, si confondono le ideologie. Quel che apparteneva, come patrimonio di valori, a una parte, magari oggi è diventato appannaggio di un’altra. Si sparigliano le carte e forse questo in un certo senso è bene, perché l’umanità, anche quella politica, non è bianca o nera e da questo rimescolamento possono uscire nuove energie anche positive. Purché ciò avvenga senza barare, senza ipocrisie.
Le parole pesano, dicevo, specie se ad esse seguono fatti inquietanti. Così oggi il termine comunista è sottoposto ad una damnatio memoriae, o peggio ad una deformazione che forse non è casuale. Qualcuno tenta di rendere più dolce, una specie di contrappasso, l’epoca trista dell’autoritarismo, delle leggi ad uso e consumo della classe dominante. Si invoca il culto di una personalità capace, da sola, di sollevare il Paese dal regresso, attraverso i miti di un passato collaudato: un premier senza contrappesi istituzionali, in quanto scelto dall’umore spiccio delle masse. L’amnesia di un popolo individualista come il nostro è il supporto ideale a questo pericoloso orientamento.
A questo punto merita riaffermare che non ci appartengono affatto i valori di un comunismo brutale a cui allude l’intonazione perversa che piace ai detrattori. Sentiamoci però non offesi, se qualcuno ci appioppa l’epiteto di comunista, quando osiamo alzare la testa per ribadire con più vigore la nostra dignità di cittadini liberi. Un poco comunisti dentro possiamo esserlo, non fa male. Talvolta è persino motivo di orgoglio democratico.
Grazie Roberto. Il tuo articolo dà sfogo al profondo disgusto che si prova vivendo in un periodo storico in cui anche le parole vengono stravolte e usate al contrario (qualcuno ha detto che, più che l’indignazione, è il disgusto che muove la voglia di cambiare le cose).
Treviso 13 11 2024 – Grazie di questo contributo che condivido in pieno…