La proposta di amare e lasciarsi amare come preparativi per la partenza, come stile di vita disorienta, è troppo impegnativa? Come tradurla in pratica?

Credo che tutti o quasi si riconoscano già abbastanza capaci di avere, spontaneamente o per averci pensato, uno stile di vita orientato verso questo obiettivo, volgersi a sentimenti amorosi verso una o più persone confidando di essere contraccambiati. Perciò la proposta non richiede una conversione, un cambiamento drastico, piuttosto la decisione di valorizzare una competenza, di farla fruttare al massimo col minimo sforzo.

L’esercizio di queste attenzioni si concretizza nella funzione di custode. Custodisco qualcuno che sento mio, non come possesso ma come legame profondo, che spinge a spendermi per chi vedo illuminato dal mio affetto. Spendo energie e tempo anche quando diviene impegnativo per le forti emozioni, anche di rabbia, di dolore, di critica, di ansia, che questa relazione suscita.

È la situazione tipica di chi è genitore, educatore. Si custodiscono i propri figli con l’intenzione di farli crescere sani, sereni, capaci di essere, di pensare, di fare, di provare sentimenti adeguati, nutrienti: un insieme di risorse e valori capaci di conferire senso al vivere e all’appartenere a una comunità umana.

Come figli, si spera di essere stati custoditi. Per il nostro benessere e perché lasciarsi custodire, oltre a donare sicurezza, offre l’unico modo possibile per imparare “l’arte” della custodia. Arte che si potrà poi esercitare con rimarchevole soddisfazione ed efficacia a favore di partners affettivi, amici, figli… e dei genitori divenuti anziani, fragili.

È la vita, bellezza! si potrebbe dire…

Ogni nostro giorno chiede e offre chance di custodire e di essere custodito. Senza rendercene troppo conto, siamo collegati tra noi come avviene in cordata, ognuno è custodito dall’essere legato agli altri e nello stesso tempo custodisce gli altri scalatori.

Questa metafora, forse un po’ ardita, ci parla della responsabilità che abbiamo verso le persone che camminano nella vita a fianco a noi.

Esaltiamo alcune imprese di ascensione condotte in solitaria, perché sono possibili a pochissimi. Raggiungere i propri obiettivi di vita, se sono impegnativi, per tutti noi è possibile solo in cordata.

Riconoscerlo sollecita umiltà, rispetto verso l’altro, senso di responsabilità, perché, sentirsi custode e nello stesso tempo custodito, innerva l’autostima, la self-competence, ovvero riconoscere le proprie abilità, e rassicura, perché le inevitabili incertezze, i momenti di difficoltà, di stanchezza e di crisi sono protetti da chi ci custodisce, tanto meglio se percepisce di essere in cordata con noi.

La consapevolezza di questo apre a obiettivi più ambiziosi e offre il modo di incarnare quel sentimento di fraternità in teoria auspicato e invocato ma che ci vede per soliti restii a viverlo ma…

A che cosa serve la fraternità?

Luigi Colusso
Medico, psicoterapeuta, è stato direttore del dipartimento dipendenze per l’ULSS di Treviso, ha portato a Treviso i CAT, gruppi per le famiglie con problemi legati all’alcol. E’ stato presidente regionale e vicepresidente nazionale della loro associazione. Nel 1999 responsabile per l’Advar del servizio per l’elaborazione del lutto fino al 2020, promuovendone il coordinamento nazionale. Ha collaborato con la LILT Treviso al progetto Stella Polare per le donne operate al seno. Nel 2015 è stato tra i promotori del Tavolo provinciale per la prevenzione dei gesti suicidari. Formatore per varie istituzioni tra cui il Centro studi Erickson, ha collaborato con l’università Cattolica di Milano e Brescia, recentemente anche di una docenza per il master di psiconcologia della Cattolica di Roma, sede di Treviso. Le due opere principali più recenti edite da Erickson sono “Il colloquio con le persone in lutto” del 2012, e a fine 2020 “Di fronte all’inatteso. Per una cultura del cordoglio anticipatorio”.

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