Si parla sempre del governo di uno Stato, o di una Regione, o ancora di un Comune. Ma, se ci pensiamo bene, la prima forma di governo che dovrebbe interessarci riguarda noi stessi. Sì, noi stessi, il nostro corpo-mente.
È un tema che mi appassiona e che mi tiene professionalmente occupato da molto tempo.
Innanzitutto, la cosa su cui ognuno di noi può riflettere è capire da quale forma di governo sia generalmente guidato il suo corpo-mente.
È forse, diciamo così, “una monarchia” in cui, con il motto “Cogito Ergo Sum”, è la testa che comanda?
O “un’oligarchia” in cui sono le emozioni di base che controllano tutto, come si vede nel meraviglioso film d’animazione “Inside Out”?
Oppure è quel “sistema federalista” che si sta imponendo con la medicina occidentale, in cui l’iperspecializzazione fa sì che le varie parti del corpo vengano trattate come se fossero indipendenti le une dalle altre?
O ancora una “repubblica democratica” che, di momento in momento, vara un nuovo governo a seconda delle necessità?
Sotto questo profilo, io ritengo che la migliore soluzione sia fornita dalla “democrazia vegetale”, quella forma di governo cioè suggerita dallo scienziato Stefano Mancuso e da Carlo Petrini, presidente di Slow Food, che vedono nell’albero un modello da seguire, dove ogni parte è funzionale e concorre al benessere della pianta intera. Questo vale anche per noi, per il nostro corpo-mente.
Ogni cellula del nostro fisico è importante quanto le altre. C’è una connessione costante e biunivoca tra tutti gli organi e i sistemi. La loro cooperazione porta alla salute e al benessere. Da ogni parte del nostro corpo nasce l’energia per il tutto e da questa interconnessione occorre sempre partire se vogliamo fare una reale fotografia di ciò che siamo e di come stiamo.
La vita che stiamo vivendo da un anno – un lungo anno, preoccupante e snervante – ci offre l’occasione per una riflessione seria e approfondita. A che punto è la nostra salute psicofisica? Siamo sotto “la dittatura” di un qualche dolore? Abbiamo subito un “colpo di stato” da parte di un’emozione negativa che non ci vuole più abbandonare? C’è uno “stato di polizia” che non ci permette di cambiare idee e pensieri?
Ecco, per l’esperienza che ho maturato, specializzandomi come facilitatore di cambiamenti, penso che oggi ognuno di noi possa e debba riflettere su ciò che lo fa star male e ciò che lo fa star bene, mettendo in atto eventuali strategie di cambiamento che, all’occorrenza, possano aiutarci ad amministrare meglio e con più equilibrio la relazione Mente-Corpo, il primo governo che ci riguarda.
Soprattutto in questi giorni è una professionalità che mettiamo volentieri a disposizione della nostra comunità.