Mi occupo di comunicazione da oltre 20 anni. Ho studiato Marketing e Comunicazione. Nel piano di studi dell’università non c’è stato un esame sul tema che non abbia inserito e non contenta ho anche fatto un master di specializzazione per evitare che qualche area della comunicazione non fosse a me nota.
So come si parla alle persone, i contenuti che devono essere declinati per singolo target, il tono di voce da utilizzare, so cosa sono gli opinion leader, che messaggi muovono le corde interiori delle persone, la così detta pancia (elemento strategico nel marketing!), che messaggi funzionano più di altri e so anche che il contesto di riferimento non può essere avulso dalla comunicazione che si usa.
So che per fare comprendere un concetto a qualsiasi target, nessuno escluso bisogna essere chiari, semplici e decisamente coerenti. So anche che far comprendere un messaggio non è assolutamente sufficiente a generare memorabilità e la memorabilità è tutto nell’era dell’affollamento mediatico: è necessario reiterare, ancora reiterare e ancora reiterare. Solo allora, se il messaggio è stato sempre lo stesso, se i contenuti non sono stati incoerenti e se è stato reiterato una infinità di volte, tale messaggio finalmente si sedimenta nella nostra mente e produce qualche effetto, che sia un atto di acquisto, di consumo o un determinato comportamento.
So tutte queste cose e ogni mattina all’apertura dei quotidiani online e no, mi chiedo se sia “normale” che la comunicazione dei media in una delle più grandi emergenze sanitarie che la storia conosca sia così contraddittoria, così poco chiara, poco autorevole e decisamente piena di messaggi che si fa fatica e decodificare.
Da mesi assistiamo ad un fantastico siparietto dei principali strumenti di comunicazione che per accaparrarsi orde di lettori, scrivono di tutto di più e si passa da comunicazioni del tipo “la prossima settimana togliamo la mascherina all’aperto” a “la variante Delta è già in Italia necessario valutare zone rosse per fermare i contagi (contagi che non sono mai stati così bassi); da virologhi che escludono a priori la terza dose di vaccini a enti autorevoli che sanciscono l’ineluttabilità della terza dose (ammesso e concesso che questo possa essere un problema), da “apriamo le discoteche” a “valutiamo chiusure”. E i temi su cui si estremizza su cui si genera caos, su cui si passa da un estremo all’altro, sono tanti nell’ambito di una pandemia in cui tutti, ognuno a modo suo, siamo diventati “esperti” con l’inevitabile effetto, di generare comportamenti non uniformi e dare spazio a facili ed egoistiche interpretazioni.
Pur comprendendo le logiche economiche che sottendono tali situazioni non sarebbe auspicabile che un unico ente, autorevole senza ombra di dubbio, elargisse quelle 2/3 informazioni necessarie, circoscritte alla sola pandemia, per capire cosa sta succedendo e declinare effettivi comportamenti tutelativi?
E’ proprio necessaria la spettacolarizzazione di alcune notizie con servizi, interviste, talk show, collegamenti dai migliori ospedali italiani ed esteri, virologhi ormai star? E non parlo di pluralità di informazione, necessaria, indiscutibile e fondante della libertà di espressione… parlo di far capire a tutti, a chi ha strumenti e chi non ne ha, che succede, cosa è necessario fare per tutelarsi e vivere momenti di opportuna e necessaria serenità. Sarebbe proprio così difficile? Senza entrare nelle dinamiche economiche di sblocco licenziamenti si o no, cassa integrazione covid, dimenticandoci in questo convulso e frenetico sistema media atto ad accaparrare lettori, che dietro quelle sigle ci sono famiglie, bambini, persone.
Di temi di cui occuparsi e su cui fare approfondimenti non c’è che l’imbarazzo della scelta in questo momento storico. Potrei citare il DDL ZAN oppure la parità di genere mai stata così lontana negli obiettivi fissati dall’agenda Asvis. Oppure potremmo più semplicemente occuparci degli Europei di calcio dove siamo già tutti esperti allenatori della nazionale italiana di Calcio.