L’11 luglio 2021 è stata una giornata memorabile per lo sport italiano. Nell’ordine: Matteo Berrettini è stato il primo giocatore italiano a disputare la finale del più prestigioso torneo tennistico al mondo, Wimbledon, e la nazionale italiana ha sconfitto per 4-3 dopo i calci di rigore l’Inghilterra a Wembley, il tempio del calcio, laureandosi per la seconda volta nella sua storia campione d’Europa. La prima notizia dimostra che anche a tennis non ce la caviamo male: Matteo ha lottato come un leone, vincendo il primo set contro un mostro sacro del tennis come Djokovic, ma ha poi ceduto i tre successivi set venendo sconfitto 3-1 dal serbo. Ha 25 anni appena ed è già numero 9 del mondo: se le premesse sono anche queste, sentiremo parlare di lui ancora a lungo. La seconda riguarda la squadra più amata dal popolo di calciofili che siamo: la nazionale. Tutti abbiamo molteplici interessi, problemi, ansie, gioie, dolori, ma quando gioca la nazionale siamo tutti dalla stessa parte. Potenza dello sport e del calcio, si può dire, ma non è solo questo, almeno quest’anno: dopo la mancata qualificazione al mondiale del 2018 era difficile pensare che, in soli tre anni, si potesse ricostruire una squadra capace non solo di giocarsi, ma anche di poter vincere, un torneo tanto prestigioso. La rabbia post Svezia è svanita perché il sentimento collettivo verso la nazionale, che pareva smarrito, è tornato ad essere imperante quando si è capito che Mancini stava davvero facendo un ottimo lavoro, rifondando le basi per una squadra competitiva ma soprattutto amata. Da che ricordi, ogni grande competizione era accompagnata da un vespaio di polemiche: Baggio sì o Baggio no, Totti titolare o in panchina, difesa a tre o a quattro, catenaccio o gioco propositivo e chi più ne ha più ne metta. Quest’anno no: a ricordi non ho visto una sola faccia torva al momento di una sostituzione, un rimprovero netto di un compagno verso l’altro, una polemica a mezzo stampa ma anzi una comunione di intenti tra tutti i membri della squadra e dello staff che ha sicuramente contribuito alla vittoria dell’Europeo e che è stata anche una panacea che, almeno dal punto di vista morale e sociale, ci può un po’ ripagare di questo anno e mezzo terribile. I problemi rimangono, nulla da dire, ma a volte le imprese sportive aiutano anche i popoli a riacquisire fiducia in se stessi, soprattutto dopo grandi tragedie. Noi ne avevamo un disperato bisogno perché, come dicevo, in mezzo al mare di problemi di tutti i tipi che dobbiamo affrontare quotidianamente a tutti i livelli, la nazionale è un bene comune a ciascuno di noi e onestamente vedere la comunione d’intenti e l’armonia che si è percepita in questo mese può aiutare ciascuno di noi a volersi risollevare, o a provarci almeno, per cambiare passo nel proprio percorso di vita. Anche la storia di Matteo Berrettini dimostra che non esiste l’impossibile: non ha vinto, ma è arrivato tra i grandissimi, e ancora forse non ci crede o gli pare tutto un sogno da cui prima o poi si sveglierà. La magia dello sport è anche quella di riunire i popoli, di sanare controversie, di cementificare rapporti: un’immagine emblematica e simbolica di questo Europeo è senz’altro quella di Mancini e Vialli, i “gemelli del gol” al tempo della grande Sampdoria, che si abbracciano forte e piangono a dirotto in mondovisione, l’uno per aver coronato il sogno di vincere qualcosa con la nazionale, l’altro per lo stesso motivo ma anche e soprattutto per sentirsi, come direbbe il grande poeta Ungaretti, “così attaccato alla vita”, dopo l’esperienza traumatica del tumore; è anche Luis Enrique che, dopo la sconfitta contro l’Italia, dice che tiferà per noi e sportivamente ci fa i complimenti, quando le circostanze sportive e soprattutto personali avrebbero potuto farlo ribollire di rabbia. Peccato invece per gli inglesi, la cui delusione sportiva è comprensibile ma il cui comportamento generale manca dei valori sui quali si fonda lo sport: rispetto, accettazione della sconfitta e sportività.