Nelle ultime settimane il territorio moglianese è stato interessato da numerosi episodi di criminalità: furti, rapine in villa, atti di vandalismo. Basta scorrere la rassegna stampa e i servizi dei telegiornali locali e anche nazionali per rendersi conto che, al di là dei proclami e delle rassicurazioni, esiste un reale “allarme sicurezza”, oltre ad una “percezione di insicurezza”. Le cronache raccontano situazioni che non sono molto lontane dai numeri sul campo e le persone hanno effettivamente paura. Le soluzioni? Sempre muscolari e sempre del giorno dopo.

Qualcuno ha provato a rispolverare perfino le ronde di padana memoria, poi derubricate a “passeggiate attente”. Una modalità piuttosto singolare (e pericolosa) per controllare il territorio. Alla fine un aiuto concreto ai ladri e un’inutile caccia all’untore. Perché la “sorveglianza fai da te” alimenta i timori dei cittadini. E da questa alla “giustizia fai da te” il passo è breve. Peraltro utilizzando la delazione, si rischia di coinvolgere persone qualunque, che stanno semplicemente facendo il loro lavoro o che stanno chiedendo un’informazione. Non c’è luogo più insicuro di quello sorvegliato da guardoni pronti a filmare, fotografare, segnalare ignari cittadini. Più che un aiuto alle forze dell’ordine – verso le quali s’ingenera solo sfiducia – si generano solo equivoci e confusione.

Ma perché questo accade? Perché la bandiera della sicurezza porta voti, tanti voti, più di ogni altro punto di un programma elettorale. E il rapporto con le elezioni è matematico, anche quando queste sono lontane. Ma la sicurezza è una cosa seria, non un tema da campagna elettorale o che deve essere lasciata agli imprenditori della paura in servizio permanente effettivo. Per questo bisognerebbe avere il coraggio di alzare un po’ il livello del dibattito e proporre soluzioni che, tra l’altro, costano meno. Ad esempio investendo non solo nella videosorveglianza, ma nella rinascita dei quartieri, soprattutto quelli più periferici, dimenticati da tutti tranne che dalla malavita. Un luogo è sicuro quando è vissuto, non semplicemente abitato. La sicurezza esiste se si riapre una strada, se si rialza una saracinesca, se si mette a disposizione uno spazio lasciato vuoto dalla crisi, se si restituisce decoro a un quartiere. Sono gesti impercettibili, che non fanno notizia. Una piazza con tutti i negozi chiusi alle otto di sera, compresi i pochi bar, è deserta e, naturalmente, insicura: non perché non ci sono le forze dell’ordine, ma perché i cittadini non la vivono, non la sentono più parte della propria città. Un locale aperto, un plateatico con tavolini o una giostra per bambini sono presidi di sicurezza più efficaci di cento telecamere. Che servono, certo, ma non come deterrente o per prevenire dei reati bensì, come ammettono le stesse forze dell’ordine, come strumento investigativo. La favola di Esopo può insegnare ancora qualcosa: nella gara tra il vento e il sole, il viandante si toglie il mantello solo con la gentilezza.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

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